L’uomo provoca il cancro negli animali selvatici: lo studio shock dell’Arizona State University

La specie umana è cancerogena, anche per gli animali selvatici. Le nostre attività stanno alterando così tanto l’ambiente circostante da provocare tumori maligni nelle popolazioni di animali selvatici (oltre che in noi stessi). Queste le inquietanti conclusioni a cui è arrivato un gruppo di ricerca della School of Life Sciences dell’Arizona State University

La specie umana è cancerogena, anche per gli animali selvatici. Le nostre attività stanno alterando così tanto l’ambiente circostante da provocare tumori maligni nelle popolazioni di animali selvatici (oltre che in noi stessi). Queste le inquietanti conclusioni a cui è arrivato un gruppo di ricerca della School of Life Sciences dell’Arizona State University.

Il fumo, le diete disequilibrate, l’inquinamento, le sostanze chimiche usate come additivi nei prodotti alimentari e per l’igiene personale, ma anche il troppo sole (“malato” sempre per colpa nostra) sono alcune delle cose che contribuiscono ad aumentare il rischio di cancro per noi stessi. E questo era già tristemente noto.

Ma ora si aggiunge un fattore in più: secondo i ricercatori infatti l’impatto ambientale dell’uomo sulla Terra è così forte da indurre il cancro anche negli animali selvatici. La nostra “impronta” è letteralmente schiacciante e il resto della vita sul Pianeta sta facendo davvero fatica a sopportarla.

Sappiamo che alcuni virus possono causare il cancro negli esseri umani modificando l’ambiente in cui vivono (nel loro caso le cellule umane) per renderlo più adatto a se stessiha spiegato Tuul Sepp, coautore del lavoro – Fondamentalmente, stiamo facendo la stessa cosa: stiamo alterando l’ambiente perché sia più adatto a noi, ma questi cambiamenti stanno avendo un impatto negativo su molte specie e a molti livelli diversi, compresa la probabilità di sviluppare il cancro.

Molti i fattori da noi provocati che lo studio prende in esame: inquinamento chimico e fisico in oceani e corsi d’acqua, rilascio accidentale di radiazioni nell’atmosfera da impianti nucleari, accumulo di microplastiche in ambienti sia terrestri che acquatici, ma anche esposizione a pesticidi ed erbicidi nei terreni agricoli, inquinamento luminoso, perdita della diversità genetica.

“Il cancro è stato trovato in tutte le specie in cui gli scienziati lo hanno cercato e le attività umane sono note per influenzare fortemente il tasso di questa malattia negli esseri umani – continua Sepp – Quindi, l’impatto umano sull’ambiente naturale potrebbe influenzare fortemente la prevalenza di cancro nelle popolazioni selvatiche, con ulteriori conseguenze sul funzionamento degli ecosistemi.

Per esempio il cibo destinato agli esseri umani sta influenzando negativamente gli animali selvatici: questi infatti sono sempre più in contatto con fonti alimentari “umane” e questo crea degli squilibri che possono provocare lo sviluppo di tumori.

Ma non solo cibo. Persino l’inquinamento luminoso da noi provocato può avere degli effetti cancerogeni negli animali selvatici. È noto infatti che negli esseri umani la luce di notte può causare cambiamenti ormonali tali da indurre lo sviluppo della malattia.

Gli animali selvatici che vivono vicino alle città e alle strade illuminate incontrano lo stesso problema: non c’è più oscurità. E gli uccelli, per es., hanno gli stessi ormoni collegati al cancro nell’uomo: non è da escludere quindi un diretto collegamento anche in loro.

Sicuramente il prossimo passo sarà misurare il tasso di cancro delle popolazioni selvatiche, in presenza e in assenza di forte presenza umana, suggeriscono gli autori, che attualmente stanno cercando di sviluppare alcuni biomarcatori utili allo scopo.

Se l’ipotesi fosse confermata, moltissime specie sarebbero in pericolo. “Per me, la cosa più triste è che sappiamo già cosa fare – sottolinea Sepp – Non dovremmo distruggere gli habitat degli animali selvatici, inquinare l’ambiente e nutrire gli animali selvatici con il cibo umano. Il fatto che tutti già sappiano cosa fare, ma non lo stiamo facendo, fa sembrare il tutto ancora più disperato”.

La speranza? Solo nell’educazione delle generazioni future. Che, comunque, spetta a noi.

La ricerca è stata pubblicata su Nature Ecology&Evolution.

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Roberta De Carolis

Foto: Ansgar Walk/Wikimedia Commons via Arizona State University

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