Una vita stroncata sul nascere. Aveva appena sei giorni di vita il piccolo di panda morto oggi nello zoo di Tokyo, che ci porta a fare i conti con la progressiva perdita di biodiversità del nostro Pianeta. Ma siamo davvero sicuri che gli zoo siano la soluzione giusta?
Tokyio – Una vita stroncata sul nascere. Aveva appena sei giorni il piccolo di panda morto oggi nello zoo di Tokyo. Era sdraiato di schiena sulla pancia della sua mamma Shin Shin, tanto che sembrava dormisse, invece il suo cuore aveva smesso di battere e i soccorsi sono stati inutili.
Il cucciolo, che aveva un peso di poco superiore ai 100 grammi, è deceduto probabilmente a causa di una polmonite. Non aveva ancora un nome, ma in Giappone era già una celebrità, soprattutto perché si trattava del primo panda nato a Ueno da 24 anni, nonché il primo in assoluto nato da un accoppiamento naturale, dopo che nel 1988 nacquero tre cuccioli con l’inseminazione artificiale. Ad annunciare la morte del piccino è stato il sito dello zoo , con i media nipponici pronti a fare da cassa di risonanza, tanto che, ad esempio, la tv pubblica Nhk ha interotto la regolare programmazione per una edizione speciqale del telegiornale.
Nato in Giappone, in realtà il baby panda aveva origini cinesi: i suoi genitori arrivano infatti proprio dalla Cina, anche se ora sono stati dati in prestito allo zoo dal governo di Pechino da febbraio 2011, per un costo annuale di circa 800mila euro. La coppia di panda era addirittura diventata motivo di scontro tra i due Paesi asiatici, dopo che il nazionalista governatore di Tokyo, Shintaro Ishihara, aveva proposto di chiamare il cucciolo in arrivo “Sen Sen” o “Kaku Kaku“, con un chiaro riferimento alle isole Senkaku, amministrate dal Giappone e rivendicate dalla Cina.
Al di là delle vicende politiche, la morte di questo cucciolo di panda ci porta a fare i conti con la sempre più progressiva perdita di biodiversità del nostro Pianeta. Ma siamo davvero sicuri che gli zoo siano la soluzione giusta? Assolutamente contraria a questo tipo di detenzione, anche se per scopi scientifici, è la Lav, che ritiene immorale privare della libertà ogni essere vivente e ascientifico ogni studio condotto su animali costretti in spazi inevitabilmente ristretti.
“Si stima che circa 6.000 specie animali siano in pericolo di estinzione, eppure solo poche di esse sono incluse in programmi di riproduzione in cattività, e solo una ventina sono state reintrodotte in natura con successo. Dei circa 10.000 zoo al mondo meno di 500 registrano i loro animali in database internazionali. Si stima che negli zoo solo il 5-10% dello spazio espositivo e delle risorse sia dedicato ad animali a rischio di estinzione“, scrive poi Oltrelaspecie sul suo sito.
L’associazione antispecista, oltre a smontare punto dopo punto il presunto fine “educativo” di queste strutture, dove gli animali selvatici sono soggetti alla prigionia e all’umiliazione di essere considerati degli oggetti di divertimento, si scaglia contro la pretesa degli zoo di preservare alcune specie di animali in via di estinzione facendoli riprodurre in cattività.
“I fatti dimostrano che gli animali, privati della selezione naturale, perdono la loro variabilità genetica con il conseguente indebolimento della specie. Inoltre, i programmi di reintroduzione degli animali selvatici nel loro ambiente nativo spesso falliscono perché gli animali tenuti in cattività non posseggono più la capacità di adattamento e sopravvivenza“, spiega Oltrelaspecie. Ecco perché gli animali vanno protetti nel loro ambiente naturale e non rinchiusi per sempre in un habitat artificiale. Ecco perché è importante non andare a visitare gli zoo, gli zoo safari, gli acquari, i delfinari e i circhi con animali, invitando parenti, amici e conoscenti a fare altrettanto.
Roberta Ragni