Si chiamano Full Ship Shock Trials e possono uccidere balene, delfini e altri animali marini a diversi chilometri di distanza dall'esplosione
Ogni anno la Marina Militare degli Stati Uniti esegue migliaia di test facendo esplodere bombe in mare aperto. Si chiamano Full Ship Shock Trials (FSST) e servono a testare le portaerei.
L’ultima è avvenuta di recente, il 17 luglio, quando c’è stata una detonazione per testare la nave militare Gelard R Ford, ma queste esplosioni sono molto pericolose. Per questo è stata lanciata una petizione per chiedere la fine di questa dannosa pratica. Purtroppo, in programma a breve ce n’ancora un’altra.
#Warship78 is back with round two of Full Ship Shock Trials! 💥
Check out the imagery from #USSGeraldRFord's second explosive event of FSST. #ThisIsFordClass #WeAreNavalAviation #Warship78 pic.twitter.com/TT7rEl5Jmq
— USS Gerald R. Ford (CVN 78) (@CVN78_GRFord) July 17, 2021
Secondo la Marina, i test sono conformi ai requisiti ambientali e rispettano i periodi di migrazione degli animali marini, ma diversi esperti sostengono che in realtà le esplosioni avvengono anche quando nelle acque sono presenti balene e delfini.
— U.S. Navy (@USNavy) June 20, 2021
La Marina, inoltre, non impiega biologi addestrati per monitorare gli animali che potrebbero essere colpiti dai loro test. Di conseguenza, risulta difficile per gli scienziati stimare i danni delle esplosioni sull’ecosistema.
Tenendo conto dell’impatto delle esplosioni, pari a quello di violenti terremoti, si stima che i test possano uccidere o ferire gravemente un numero imprecisato di pesci e animali nel raggio di circa dieci chilometri.
Un video pubblicato dalla stessa Marina Militare poche settimane fa ha impressionato l’opinione pubblica. Le immagini mostrano la detonazione di una bomba di quasi 20 tonnellate al largo delle coste della Florida, in un prezioso habitat della fauna selvatica.
In seguito all’impressionante video è stata avviata una raccolta firme per chiedere lo stop dei test a tutela dell’ambiente e degli ecosisistemi. La petizione è disponibile sul sito Care2 petition.
Fonti di riferimento: RTÉ News/The Guardian/U.S. Navy-Twitter
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