Il pesce azzurro dell'Adriatico è a rischio. Sardine e acciughe sono sempre meno. Lo dice un dossier di Greenpeace
Abbiamo finito anche le sardine. Lo dice un rapporto appena pubblicato da Greenpeace. Ebbene sì, il pesce azzurro nell’Adriatico è praticamente al collasso. Ed in particolare, i dati scientifici registrati negli ultimi 40 anni mostrano un forte declino delle popolazioni di acciughe e sardine.
L’inchiesta degli ambientalisti ha preso in esame Chioggia e il vicino porto di Pila di Porto Tolle, quest’ultimo uno dei più importanti in Italia e tra i primi in Mediterraneo per la pesca di pesce azzurro, che vanta una notevole quota nella produzione nazionale immessa sul mercato italiano e all’estero.
Secondo Greenpeace, però, la colpa sarebbe soprattutto del governo: il sovrasfruttamento di alici e sardine, il cosiddetto overfishing, ha dato vita ad un circolo vizioso: la diminuzione del prodotto ha causato un aumento dei prezzi di mercato stimolando l’incremento della pressione di pesca.
Quest’ultima avrebbe dunque portato al ‘saccheggio’ di queste specie nel nord Adriatico con un aumento del numero delle imbarcazioni autorizzate, e della stazza delle stesse, anche grazie all’artificio delle licenze di “pesca sperimentale”.
Ma c’è di più. Il dossier di Greenpeace, pubblicato da Greenpeace nella collana “Ocean Inquirer”, ha messo in evidenza la pratica del rigetto in mare di acciughe e/o sardine. Cos’è? Durante l’estate il prezzo di mercato di tali specie non è conveniente. Per questo vengono rigettate in mare. Tali rigetti non sono registrati nelle statistiche ufficiali di pesca, per cui il reale quantitativo totale di pesce azzurro catturato è quindi sottostimato. Considerando anche che, come dimostrano le ricerche scientifiche, talvolta sono catturate acciughe e sardine giovanili, la situazione è peggiore del previsto.
Come fare per salvarle? Greenpeace ha lanciato 6 proposte ai governi dell’UE e al Parlamento Europeo:
- richiedere una valutazione delle capacità di pesca esistenti rispetto ai limiti di cattura sostenibili;
- eliminare la capacità di pesca in eccesso, smantellando per primi quei pescherecci che attuano pratiche di pesca non sostenibili e sono di dimensioni eccessive;
- richiedere dettagliati piani nazionali di riduzione della capacità di pesca, con giusti criteri per le dismissioni, obiettivi e scadenze;
- arrestare il flusso di sussidi pubblici verso pratiche di pesca non sostenibili e distruttive, investendo piuttosto in misure di pubblica utilità quali il ripristino e il mantenimento degli stock, la salvaguardia dell’ambiente marino, le attività di monitoraggio e controllo, la raccolta di dati e le valutazioni scientifiche;
- promuovere attività di pesca sostenibile, socialmente eque e a basso impatto ambientale, e garantire un controllo efficace della flotta comunitaria, sia che operi nelle acque comunitarie che fuori di esse;
- fissare quote di cattura che siano conformi ai dati scientifici per un prelievo sostenibile;
- garantire il raggiungimento di obiettivi di conservazione per il raggiungimento di un ambiente marino sano, anche creando riserve marine per proteggere specie e habitat.
Prima che sia troppo tardi, se non lo è già.