La puntata di Report di ieri domenica 17 novembre ha nuovamente approfondito la situazione della peste suina africana in Italia e tutti i punti critici legati al disciplinare del Prosciutto di Parma DOP, evidenziando carenze nei controlli da parte dell'organismo certificatore
Perché l’Italia è uno dei Paesi europei più colpiti dalla peste suina africana (PSA)? E gli enti controllori preposti verificano che tutti i criteri di sicurezza vengano rispettati? Qual è lo stato degli allevamenti italiani e degli animali che vi si trovano?
Spoiler: il quadro è assai deprimente e, ahinoi, lo conosciamo già abbastanza bene. Eppure, paradosso, non smette mai di stupirci (in negativo) se a scene di assoluta sofferenze si somma la consapevolezza della mancanza di controlli certi.
La PSA è una malattia virale altamente contagiosa che colpisce suini domestici e cinghiali, con elevata mortalità. In Italia, l’epidemia ha avuto un impatto significativo soprattutto in Regioni settentrionali come Lombardia ed Emilia-Romagna. Secondo dati recenti, oltre 50mila maiali sono stati abbattuti per contenere la diffusione del virus, con gravi ripercussioni sull’industria suinicola nazionale.
Il nodo del disciplinare del Prosciutto di Parma DOP
Il disciplinare del Prosciutto di Parma DOP stabilisce requisiti stringenti per garantire la qualità e l’autenticità del prodotto. Tra le specifiche principali, ci sono:
- l’alimentazione dei suini: almeno il 50% del mangime deve provenire dalla zona geografica delimitata, per assicurare il legame con il territorio
- la genetica e l’allevamento: utilizzo di suini di razze specifiche, allevati secondo metodi tradizionali
- il processo di stagionatura: minimo 14 mesi, con un peso finale del prosciutto compreso tra 8,2 e 12,5 kg
- CSQA è l’organismo incaricato di certificare il rispetto del disciplinare del Prosciutto di Parma DOP
Tutto a posto e tutto regolare, quindi? Non esattamente.
La nuova inchiesta di Report andata in onda il 17 novembre ha raccontato come, nonostante nel disciplinare del Prosciutto di Parma Dop ci sia quel 50%, ci sia scritto cioè chiaramente che almeno la metà del mangime per gli allevamenti debba provenire dal territorio, pare che l’organismo di controllo Csqa, che già ha ricevuto sospensioni in passato, si basi solo ed esclusivamente sulle autocertificazioni senza andare a controllare sul campo.
Il Csqa, in buona sostanza, si sarebbe basato principalmente sulle autocertificazioni fornite dagli allevatori riguardo all’origine dei mangimi, senza quasi mai effettuare sul campo i necessari controlli. E non solo, Report va a fondo: in una conversazione registrata, la direttrice generale di CSQA, Maria Chiara Ferrarese, avrebbe ammesso l’omissione dei controlli sull’alimentazione dei suini, in accordo con l’associazione di categoria, senza informare il Ministero competente.
Una serie di pratiche, quindi, che non fanno che sollevare dei dubbi sulla trasparenza e sull’efficacia del sistema di certificazione, mettendo a rischio la credibilità del marchio DOP. E tutto questo, poi, in un quadro di profonda sofferenza per gli animali.
Le condizioni dei suini
Sfiorano i 10milioni i maiali vengono fatti nascere e sono allevati in Italia ogni anno per essere violentemente uccisi o con misure di “eradicazione” per malattia. A causa della PSA, superano i 115mila i maiali uccisi anche se sani, perché potenzialmente esposti al virus che ha colpito gli allevamenti di maiali in Italia dall’estate 2023, specie Lombardia e Pavese.
Sono i numeri di cui ha parlato l’inchiesta di Giulia Innocenzi andata in onda ieri sera su Report con immagini realizzate in esclusiva dal team investigativo di Food for Profit e LCA (Last Chance for Animals).
Animali in condizioni perenni di sofferenza, vittime di veri e propri maltrattamenti e resi parte integrante del modello produttivo, solo grazie ai soldi pubblici lautamente versati sia attraverso la PAC, la politica agricola comune, come ben spiega il documentario Food for Profit, sia attraverso i ristori elargiti in risposta alla crisi della Peste Suina Africana.
Le immagini trasmesse restituiscono il ritratto crudo e reale di quello che viene in modo ottuso e strumentale definito un settore dell’eccellenza del Made in Italy, ovvero quello della produzione suinicola, legata quindi al prosciutto. Un settore in cui la crudeltà e lo spreco di risorse vanno a braccetto, scrivono dalla LAV.
Sono moltissime ormai le evidenze raccolte negli allevamenti di maiali di mezza Italia che mostrano la sofferenza di quegli animali. Quel documentario di Giulia Innocenzi e Pablo d’Ambrosi ha sì portato tolto il velo da quel dramma infinito, ma anche portato più luce su tutta la più complessa dinamica dei rapporti di forza con i fondi europei, mettendo in evidenza come le grandi lobby siano ancora in grado di esercitare una grossa e grave influenza sulle decisioni politiche a discapito della trasparenza e degli interessi pubblici.
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