Alcuni primati continuano a occuparsi dei loro cuccioli morti per mesi come forma di lutto

Questa pratica potrebbe fornire agli scienziati qualche spunto per immaginare i rituali funebri dei primi ominidi

Questa pratica potrebbe fornire agli scienziati qualche spunto per immaginare i rituali funebri dei primi ominidi

Gli scienziati hanno documentato centinaia di casi in cui femmine di scimmie o di primati continuano a stringere al petto e ad occuparsi dei cadaveri dei loro cuccioli per giorni, settimane o addirittura mesi dopo la loro morte. In questo nuovo studio, i ricercatori hanno osservato che questo comportamento è più diffuso di quello che in un tempo si era pensato.

La pratica di portarsi dietro i cuccioli morti non ha avuto una chiara spiegazione fino ad ora: si tratta di un comportamento dispendioso a livello energetico, che non offre alcun beneficio al genitore. Tuttavia, la natura diffusa di questa pratica (osservabile in diverse specie di scimmie e primati) ha motivato i primatologi dello University College di Londra a intraprendere uno studio più approfondito sul tema. Il team ha analizzato i dati raccolti fra il 1915 e il 2020 – si tratta di più di 500 casi che hanno per protagonisti primati di 50 specie diverse, l’80% delle quali pratica questo comportamento regolarmente. I nostri ‘parenti’ più vicini – gorilla, orangotango e scimpanzé – hanno dimostrato un’occorrenza di questa pratica più frequente rispetto ad altre specie.

Anche se non potremo mai comprendere davvero fino in fondo cosa si celi dietro questo comportamento, ci sono degli schemi ricorrenti che evidenziano un tentativo di elaborazione dello stress emotivo: alcune mamme gridano allarmate se il cadavere del proprio cucciolo viene loro sottratto, e questo suggerisce che tale strategia non sia altro che un modo per alleviare lo stress causato dalla separazione dal piccolo.

I ricercatori hanno osservato, inoltre, che più il cucciolo morto è piccolo, più sarà lungo il periodo in cui la mamma si porterà dietro il suo cadavere – probabilmente perché il legame fra loro era particolarmente solido. Anche l’età della mamma fa la differenza: mamme giovani sono più propense a non separarsi dai loro cuccioli morti, mentre le mamme più anziane possono aver accumulato già esperienza sufficiente da comprendere che il loro cucciolo è morto e che non c’è più nulla da fare ormai per salvarlo.

Il nostro studio indica che i primati possono essere in grado di ‘comprendere’ la morte in modo simile a quello umano: l’esperienza ha insegnato loro che la morte è una ‘cessazione delle funzioni vitali’ che dura per molto tempo – spiega la ricercatrice Alecia Carter. – Non sappiamo tuttavia, e forse non sapremo mai, se i primati comprendono il fatto che la morte sia universale e che tutti gli animali sono costretti a morire.

Morti traumatiche, come per esempio in seguito ad un incidente, sono meno spesso seguite da un periodo di ‘elaborazione del lutto’ da parte delle mamme – diversamente da morti non traumatiche, come quelle provocate da malattie: la morte in conseguenza di una malattia potrebbe non rendere immediatamente chiaro alla mamma che il proprio piccolo è ormai privo di vita.

Questi risultati hanno implicazioni importanti non solo per comprendere i meccanismi di elaborazione del lutto nel regno animale, ma anche perché forniscono spunti utili per la comprensione dei nostri rituali funebri: i legami sociali fra esseri umani sono molto simili a quelli mostrati da scimpanzé ed altri primati, e le pratiche funebri dei primi ominidi potrebbero aver tratto ispirazione proprio da questi legami.

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Fonte: Proceedings of the Royal Society B

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