Congedo retribuito per chi adotta un animale domestico: ritorna la questione del diritto a un permesso di lavoro retribuito per chi ha necessità di curare il proprio animale.
Congedo retribuito per chi adotta un animale domestico: ritorna la questione del diritto a un permesso di lavoro retribuito per chi ha necessità di curare il proprio animale. Rientranti a pieno titolo in una famiglia, infatti, anche i nostri amici pelosi possono aver bisogno di ulteriore tempo (e denaro) per qualche motivo di salute, pena, per il proprietario, reato di maltrattamento o addirittura di abbandono.
È su questa base (la non cura di un animale di proprietà integra, secondo la Cassazione, il reato di maltrattamento degli animali previsto dal codice penale) che si è avvalsa nei mesi scorsi una dipendente pubblica che aveva chiesto e ottenuto il riconoscimento del permesso retribuito per due giorni di assenza necessari a curare il proprio cane.
Primo caso nel nostro Paese, che ora potrebbe considerarsi precursore dell’iniziativa di alcune aziende americane di offrire giorni di congedo retribuito a chi adotta un animale domestico. Si tratta della cosiddetta “Pawternity leave” (Paw in inglese significa zampa), che si sta diffondendo soprattutto a New York, segno del riconoscimento di fatto che gli animali sono ormai componenti a pieno titolo di numerose famiglie.
E in Italia dove siamo rimasti? Qui, nonostante siano più del 33% gli italiani che vivono con un animale domestico, siano oltre 60 milioni tra cani, gatti, uccelli, criceti, tartarughe e pesci, crescano i consumi per la loro cura, l’attenzione per i servizi loro dedicati e per una legislazione che ne tuteli lo status di esseri senzienti (dalle leggi sul maltrattamento, alle prime sentenze che ne dispongono l’affido in caso di separazione dei coniugi), ancora non ci sono norme specifiche vigenti nel caso in cui abbiano bisogno di cure costanti per una determinata patologia.
“Ci troviamo di fronte a fatti, tendenze che si strutturano sul lungo periodo e che indicano un’evoluzione in positivo delle nostre società, non a semplici mode, come ha provocatoriamente affermato qualcuno – ci tiene a precisare Gianluca Felicetti Presidente LAV – negare questo significa negare il diritto di milioni di cittadini che hanno accolto un animale nella propria famiglia, e i diritti degli animali stessi che non possono e non devono essere considerati oggetti, ma esseri senzienti cui spetta una vita dignitosa e cure adeguate, a partire dalla quotidianità familiare. Noi lo diciamo da tempo: gli animali non tenuti a fini di lucro o di produzione sono a tutti gli effetti componenti della famiglia, per questo chiediamo con forza un’organica riforma del Codice Civile che speriamo il prossimo Governo e il prossimo Parlamento avranno il coraggio di fare, approvando la nostra proposta di Legge ferma dal 2008”.
Un permesso retribuito a norma di contratto collettivo dei dipendenti pubblici per “grave motivo famigliare e personale” dovrebbe, quindi, anche comprendere l’assistenza all’animale malato. Naturalmente in assenza di altre condizioni, come la possibilità di fare affidamento ad altre persone di famiglia.
Per ora quello della dipendente della Sapienza è un caso isolato ma crea un precedente che altre aziende, in futuro, non potranno far finta di non vedere. Speriamo, allora, solo in una giusta ed equa normativa ad hoc.
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Per sostenere chi ha deciso di accogliere un animale in famiglia, la LAV scende in piazza con una petizione che tutti potranno firmare, a partire dall’11 e 12 marzo e nel fine settimana successivo, per un fisco non più nemico degli animali.
Germana Carillo