Sono 200mila gli animali che, ogni anno, vengono allevati ed uccisi in Italia per la produzione di pellicce e ben 70 milioni le vittime in tutto il mondo: ecco gli ultimi dati diffusi dalla LAV in occasione della nuova campagna antipellicce che, vi ricordiamo, verrà presentata nelle piazze italiane questo weekend, insieme ad una raccolta firme per ottenere una legge nazionale che vieti tutto questo.
Sono 200mila gli animali che, ogni anno, vengono allevati ed uccisi in Italia per la produzione di pellicce e ben 70 milioni le vittime in tutto il mondo: ecco gli ultimi dati diffusi dalla LAV in occasione della nuova campagna antipellicce che, vi ricordiamo, verrà presentata nelle piazze italiane questo weekend, insieme ad una raccolta firme per ottenere una legge nazionale che vieti tutto questo.
Infatti, sebbene nel nostro Paese siano stati chiusi gli allevamenti di volpe (non attivi dalla fine degli anni ’80), vengono ancora allevati visoni e cincillà in Lombardia (nelle province di Cremona e Mantova), Veneto (Padova e Vicenza), Emilia Romagna (Ferrara, Forlì e Modena) e Abruzzo (L’Aquila). Il numero di allevamenti è diminuito dai 170 del 1988 (per un totale di circa 500mila animali), ai 10 attualmente attivi: cifre che possono sembrare ridicole rispetto ai 7200 allevamenti presenti in Europa, ma che causano sofferenza e morte ad almeno 200mila animali all’anno.
Le condizioni in cui questi animali vengono fatti vivere vanno contro ogni concezione di diritto alla vita: i visoni, ad esempio, sono costretti a stare in gabbie alte appena 45cm e che misurano 36x70cm, per l’intero periodo della loro vita, che va da maggio ai successivi 8 o 9 mesi, quando il pelo invernale è “pronto” per essere prelevato e lavorato. Per questo si registra una mortalità del 20% per i cuccioli e fino al 5% per gli adulti entro un anno di vita, morte che avviene per ulcera gastrica, problemi renali, stereotipie comportamentali, automutilazioni, cannibalismo e infanticidio: tutte patologie legate alla vita in cattività, che impedisce a questi animali di correre e stare all’aria aperta, e di comportarsi e relazionarsi come farebbero in natura.
E invece non c’è niente di naturale in questi allevamenti e la morte stessa arriva per mano dell’uomo con metodi che non vengono controllati e non assicurano la mancata sofferenza di queste povere bestie. Le modalità di uccisione ammesse sono, fa sapere la LAV, “strumenti a funzionamento meccanico con penetrazione nel cervello, iniezione della dose letale di una sostanza anestetica, elettrocuzione seguita da arresto cardiaco ed esposizione al monossido o al biossido di carbonio” in vere e proprie camere a gas, dove l’animale muore per asfissia.
Un vero e proprio eccidio di cui l’Italia si fa complice ogni anno, nonostante la maggior parte delle pellicce a livello mondiale provenga da animali allevati e cresciuti in Europa (60%), Cina (25%), Stati Uniti (poco più del 5%), Canada (4%) e Russia (3%). Le catture in natura rappresentano invece il 15% dell’approvvigionamento mondiale, pari a circa 10 milioni di animali.
“Questi metodi di uccisione sembrano richiamare un film horror e invece sono la spietata realtà che gli acquirenti di pellicce cercano di ignorare – afferma Simone Pavesi, responsabile nazionale LAV campagna antipellicce – I capi con pellicce animali non sono, come è evidente, un bene necessario e in Italia l’uccisione di animali senza necessità è un reato, ai sensi dell’art.544-bis del codice penale; ciononostante migliaia di animali ‘da pelliccia’ sono uccisi senza necessità: una contraddizione inaccettabile che richiede opportuni provvedimenti da parte del Parlamento. Inoltre si tratta di un prodotto insostenibile sul piano etico ma anche ambientale perché un recente studio indica la pelliccia come più inquinante rispetto ai tessuti vegetali e sintetici”.
Sono diversi i Paesi che hanno bandito gli allevamenti di questo tipo: la Gran Bretagna lo ha fatto a partire dal 2000, seguita da Austria, Danimarca, Irlanda del Nord e Scozia, Croazia e Bosnia, mentre in Olanda sono vietati dal 1995 quelli di volpi e cincillà. Germania, Svizzera, Svezia e Bulgaria hanno invece adottato forti restrizioni in modo da disincentivarli.
In un Paese che si dice civile, come l’Italia, non è dunque possibile che continuino a compiersi queste uccisioni legalizzate ed è per questo che la LAV scenderà in piazza questo fine settimana, con l’intento di ottenere una legge nazionale che vieti l’allevamento, la cattura e l’uccisione di animali per la produzione di pellicce. La proposta di legge è già stata presentata sia alla Camera (con prima firmataria l’On. Michela Vittoria Brambilla) che al Senato (con prima firmataria il Sen. Silvana Amati), ma ora occorrono anche le firme di tutti noi per una petizione popolare.
Perché, come ricorda Pavesi, “le pellicce sono i resti di cadaveri animali che nulla hanno a che vedere con il buon gusto che dovrebbe caratterizzare le proposte moda”.
Per saperne di più sull’orrendo mercato delle pellicce e conoscere le aziende davvero fur free visita il sito nonlosapevo.com.
Qui invece per conoscere le piazze in cui sarà presente la petizione LAV.