Denunce, querele e perquisizioni. Gli attivisti di Nemesi Animale,“rei” di aver reso pubblica, lo scorso gennaio, la situazione vergognosa in cui la ditta Bruzzese detiene le galline spennacchiate e ferite nei propri capannoni, tra sporcizia, animali lasciati agonizzanti nei corridoi e consuete gabbie sovraffollate, sono stati denunciati per aver “videoripreso le fasi delle proprie condotte e averle diffuse via internet e attraverso le testate giornalistiche e televisive”.
Denunce, querele e perquisizioni. Gli attivisti di Nemesi Animale,“rei” di aver reso pubblica, lo scorso gennaio, la situazione vergognosa in cui la ditta Bruzzese detiene le galline spennacchiate e ferite nei propri capannoni, tra sporcizia, animali lasciati agonizzanti nei corridoi e consuete gabbie sovraffollate, sono stati denunciati per aver “videoripreso le fasi delle proprie condotte e averle diffuse via internet e attraverso le testate giornalistiche e televisive”.
Perché le immagini sono false, sono state riprese in altri allevamenti, tuona la ditta. Così, in seguito ad una sua denuncia contro ignoti, procuratori e carabinieri adesso stanno cercando chi è entrato in quegli orribili capannoni, con pressioni e perquisizioni, spiega Nemesi Animale in un comunicato. L’unico appiglio per le indagini di Pasquale Addesso, procuratore della Reppubblica presso il Tribunale di Busto Arsizio, sarebbe il recapito telefonico presente sul sito, intestato a un’attivista che, dopo essere stata denunciata per favoreggiamento, in quanto persona informata sui fatti, ha subito una perquisizione da parte di due pattuglie dei carabinieri lo scorso 28 febbraio 2012.
Il tutto per rinvenire qualcosa che potesse portare a imputarle uno dei capi di reato di cui si accusano gli attivisti nella denuncia-querela contro ignoti, cioè “aver forzato la porta d’ingresso e essersi introdotti all’interno del capannone di proprietà privata dell’Azienda agricola Bruzzese in data 05/06 gennaio”, “aver utilizzato strumenti di ripresa visiva e sonora per procurarsi indebitamente immagini attinenti la vita privata svolgentesi all’interno del capannone di proprietà privata dell’azienda agricola Bruzzese e averle poi successivamente diffuse ai mezzi di informazione pubblica”, “aver danneggiato i locali manomettendo la pulcinaia, asportando gli animali dalla cella cadaveri e spargendoli sul pavimento” e, dulcis in fundo, di aver rovinato la reputazione della ditta Bruzzese. Tutti atti inventati di sana pianta, spiega Nemesi Animali, accaduti in questo “fantomatico” 5 gennaio, che sarebbe persino successivo alla pubblicazione dell’ investigazione risalente, invece, al mese di dicembre.
Per la ASL e per un’ispezione congiunta di più organi di controllo, la situazione nei capannoni sarebbe stata regolare, mentre a supporto degli attivisti ci sono le immagini di Striscia La Notizia, che, sempre a Gennaio, è riuscita ad entrare in uno dei capannoni, documentando una situazione abbastanza simile a quella mostrata nel filmato di Nemesi Animale. “Quali menzogne userà Bruzzese per spiegare condizioni di animali ridotti senza nemmeno una piuma e con enormi tumori, vaganti per il suo capannone?”, si chiede l’associazione animalista entrata nel mirino delle indagini. Insomma, una vicenda ancora tutta da scrivere che lascia però emergere un grande paradosso: la colpa è di chi mostra la verità nuda e cruda che si nasconde dietro gli allevamenti intensivi e non di chi dovrebbe essere semmai accusato, cioè l’allevatore che detiene in pessime condizioni gli animali che alleva.
Non sarà che stiamo facendo anche noi, qui in Italia, la fine degli Stati Uniti, dove ormai essere attivisti è considerato un reato? Oltre oceano esiste, infatti, una legge federale nota con l’acronimo AETA, che sta per Animal Enterprise Terrorism Act, che rende paragonabili al terrorismo gli atti intrapresi al fine di interferire o danneggiare le attività di un’azienda che utilizzi animali. Questa settimana, dopo oltre un anno di polemiche, la norma è stata approvata nell’Iowa, entrato ora a far parte degli Stati in cui sono state già emanate misure simili, come Montana, North Dakota e Kansas. Ora anche Illinois, Missouri, Utah, New York, Nebraska, Indiana e Minnesota stanno valutando l’ipotesi di rendere illegali i filmati e le fotografie ottenute sotto copertura negli allevamenti di animali.
Il video incriminato
Si tratta di un ostacolo in più per i diritti degli animali attivisti che cercano di esporre alla gogna pubblica le aziende che infrangono le regole. Ma cosa si nasconde dietro le leggi che vietano le indagini, dietro le pressioni e le minacce che la lobby degli allevatori attua continuamente? La risposta è evidente: quello che è in gioco è l’immagine delle aziende e gli enormi interessi che ruotano attorno allo sfruttamento di innocenti creature. Perché non è un segreto che solo grazie a queste persone coraggiose è stato possibile smascherare le enormi crudeltà perpetrate contro gli animali, far luce sull’orribile verità che si nasconde dentro gli allevamenti, luogo di tortura, sfruttamento e oppressione.
Roberta Ragni