La diffusione del vermocane è colpa della crisi climatica, per prevenire i danni servono più aree marine protette
Super colorato ma dal potere urticante: come vi abbiamo già spiegato qui, il vermocane si sta moltiplicando soprattutto nei mari del sud Italia. A causa della elevata temperatura delle acque, sta proliferando a ritmi molto veloci, in particolare nelle in Puglia, Calabria e Sicilia.
La notizia del loro riprodursi sta suscitando preoccupazione per i potenziali danni che la specie può arrecare alle persone e alla fauna marina. Non si tratta di una specie aliena, ma “termofila” e che potrebbero “pungere”.
Il Mediterraneo sta pagando un prezzo elevato per l’effetto dei cambiamenti climatici: diventa sempre più povero con grandi stravolgimenti della sua biodiversità, dichiara Valentina di Miccoli, campagna Mare di Greenpeace Italia. Come dimostra il nostro progetto Mare Caldo, laddove esistono misure efficaci di tutela delle nostre acque queste resistono meglio agli impatti della crisi climatica, di cui la diffusione di specie come il vermocane è una delle prove più evidenti. Per questo abbiamo bisogno di aumentare la rete di aree marine protette in Italia.
Il vermocane (Hermodice carunculata) è una specie nativa termofila, che predilige cioè temperature calde, e la sua maggiore presenza è un indicatore del cambiamento climatico. Questo anellide è un predatore generalista molto vorace che si alimenta di coralli, gorgonie, stelle marine e altre specie tipiche dei nostri mari. È lungo tra i 15-30 cm e ha setole urticanti che possono provocare irritazione e sensazione di bruciore sulla pelle. Tipico delle coste ioniche, si è ormai diffuso nel Mar Mediterraneo Centrale, con diversi avvistamenti lungo il Mar Tirreno e l’Adriatico. Questa invasione è coerente con il consistente aumento delle temperature del Mar Mediterraneo.
Il progetto Mare Caldo, nato nel 2019 grazie a una collaborazione tra Greenpeace Italia e il DISTAV di Genova, monitora la temperatura e la presenza di diverse specie termofile in alcune Aree Marine Protette (AMP) italiane: ciò che emerge dai dati raccolti negli anni è che il cambiamento climatico sta avendo importanti effetti, oltre che sulla biodiversità, anche sull’assetto biogeografico del Mediterraneo.
Seguire l’espansione di questa specie e di altre specie termofile è fondamentale per capire gli impatti sulle comunità bentoniche rocciose costiere e i conseguenti effetti negativi sulla biodiversità, sulla salute pubblica e sulla pesca commerciale – conclude Miccoli. I dati raccolti evidenziano come aree protette gestite con misure efficaci sono più resilienti agli effetti del riscaldamento globale. Il nostro governo ha l’opportunità di creare una rete efficace di aree marine protette ratificando quanto prima il Trattato globale per la protezione degli oceani e lavorando alacremente per raggiungere l’obiettivo ambizioso di proteggere il 30% dei nostri mari entro il 2030.
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