Il quarto caso umano di influenza aviaria (legato a una epidemia tra i bovini) rivela tutti i pericoli degli allevamenti intensivi

Negli Stati Uniti si registra il quarto caso umano di influenza aviaria: si tratta di un lavoratore del settore lattiero-caseario in Colorado

Una quarta persona negli Stati Uniti – un lavoratore di una fattoria lattiero-casearia nel Colorado nord-orientale – è risultata positiva al test dell’influenza aviaria H5, caso direttamente collegato all’epidemia in corso tra i bovini da latte in tutto il Paese.

Lo ha annunciato in queste ore il Dipartimento di Salute Pubblica e Ambiente del Colorado dopo aver segnalato altri due casi umani nel Michigan e uno in Texas. In tutti i casi sono stati riferiti sintomi oculari.

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E non solo negli States: in Australia, ad essere contagiata è stata una bambina di due anni. Sebbene la fonte di esposizione al virus in questo caso “sia attualmente sconosciutaprecisa l’Omsprobabilmente è avvenuta in India, dove il caso aveva viaggiato, e dove il virus A (H5N1) è stato rilevato in passato negli uccelli”.

Il nodo degli allevamenti intensivi

Più di un quarto delle mandrie da latte in Colorado, si legge su CNN, hanno segnalato casi di influenza aviaria e i dati federali  mostrano che sette Stati hanno confermato casi negli ultimi 30 giorni e il 40% di questi si trova in Colorado, più di qualsiasi altro Stato.

Silenziosamente, dunque, l’influenza aviaria si insinua sempre di più. I focolai durano più a lungo, non sono più puramente stagionali e si diffondono rapidamente tra le specie in allevamento intensivo. Molti degli animali contagiati, infatti, sono confinati negli allevamenti intensivi, dove vengono allevati in modo terribile per la loro carne o le uova.

La diffusione sempre più ampia anche tra gli esseri umani ha recentemente allarmato anche l’OMS I dati mettono in evidenza una situazione da non sottovalutare: tra il 2003 e il 1 aprile 2024, sono stati registrati 889 casi umani di influenza aviaria in 23 Paesi, con 463 decessi, portando il tasso di mortalità al 52%. Questi numeri, seppur relativamente contenuti rispetto ad altre malattie, sollevano l’attenzione su una possibile escalation della malattia.

Anche se i casi di trasmissione del virus all’uomo sono ancora rari, i recenti episodi dimostrano che il rischio derivante dal settore zootecnico – sul quale urge una riforma radicale – è concreto.

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