Il gorilla di uno zoo viene ucciso per trarre in salvo un bambino caduto nel suo recinto. Sono davvero così utili ed educativi gli zoo?
Il gorilla di uno zoo viene ucciso per trarre in salvo un bambino caduto nel suo recinto. Accade a Cincinnati, negli States, dove in una manciata di minuti un bimbo di 4 anni ha avuto la sfortuna di farsi un volo nel fossato di poco più di 3 metri e di ritrovarsi faccia a faccia col gorilla di pianura che se ne stava lì beato.
Il gorillone, di circa 180 chili, di 17 anni e dal nome di Harambe, era una sottospecie a rischio estinzione. Una volta scorto il bambino, si sarebbe subito avvicinato a lui, scatenando le urla (come si può sentire dal video che gira in rete in queste ore) e il panico generale.
Peccato che quel bambino, vittima a sua volta della disattenzione dei genitori, sia stato suo malgrado, l’artefice di una ingiusta uccisione. Già, perché avranno pure il viso che pare un po’ severo, i gorilla, e una stazza di certo non esigua, ma sono pur sempre animali e come tali hanno anche loro un cervello, un cuore e il fiuto di una (reale) situazione di pericolo e di minaccia. Tanto più quando si tratta di un gorilla che probabilmente quel bambino voleva solo proteggerlo. Ma tant’è: se già è rinchiuso in uno zoo, vuol dire che è stato “riconosciuto” il suo essere inferiore agli uomini, che si arrogano il diritto di far crescere qualsiasi specie lontano dal proprio habitat e farne animali da attrazione.
“Il bambino non era sotto attacco – si è affrettato a dire il direttore dello zoo, Thane Maynard, in conferenza stampa – ma era certamente in pericolo”. Per questo il gorilla è stato abbattuto.
Sedarlo in qualche modo non poteva essere una valida alternativa? Se lo sta chiedendo tutto il mondo, ma secondo le autorità dello zoo sparargli un sedativo “non avrebbe neutralizzato l’animale immediatamente e avrebbe potuto aumentare i rischi per il bimbo”.
Molti amanti degli animali stanno esprimendo sui social la loro indignazione verso i genitori del piccolo, accusati di aver lasciato che il piccolo finisse nel recinto, la reazione comune è di rabbia.
Ma le domande da porsi, forse, sono altre. Possibile che nessuno, nessun esperto, abbia letto come innocui i comportamenti del gorilla? O che nessuno, correttamente istruito in materia, sia stato capace di entrare nella gabbia e interagire con l’animale? I gorilla sono consapevoli di sé. Amano, ridere, cantare, giocare. I gorilla di pianura sono animali delicati, che non attaccano a meno che non siano provocati. Come dimostra quanto un po’ è accaduto nel 1986, quando in uno zoo dell’isola di Jersey, in Inghilterra, un bambino cadde nella fossa di un gorilla chiamato Jambo. Allora il bimbo era immobile a terra a causa dell’impatto e il grande gorilla quasi sembrava che vegliasse su di lui (video qui sotto).
Circa l’uccisione di Harambe, non chiediamoci tanto se la tragedia si sarebbe potuta evitare, ma: sulla base di cosa esistono ancora gli zoo? Siamo andati a chiederlo all’etologo Roberto Marchesini che è chiaro su un punto:
“Quello che è successo allo zoo di Cincinnati è la dimostrazione di come gli zoo siano strutture assolutamente da superare, non sono strutture educative, non sono strutture dove in qualche modo si tutelano gli animali, ma sono semplicemente dei grandi baracconi dove al primo problema la cosa più semplice da fare è quella di ammazzare un animale”. Dunque? Questo zoo ha dimostrato una incapacità totale di saper lavorare con gli animali. Non ha saputo leggere i comportamenti dell’animale. Non aveva personale capace di entrare dentro la gabbia e relazionarsi con l’animale. E sicuramente, come questo, ce ne sono altri mille di esempi nel mondo. “Lo zoo è sempre una prigione dove l’animale subisce un maltrattamento. Chiuderli in una gabbia non permette agli animali di esprimersi per quello che sono”, conclude Marchesini.
Nevrosi, comportamenti stereotipati, comportamenti compulsivi. In più spesso c’è gente all’interno di queste strutture assolutamente inesperta. Per non parlare del fatto che la riproduzione in cattività negli zoo invece di preservare la biodiversità diventa un fattore di diminuzione della biodiversità, perché sottrae di fatto porzioni di patrimonio genetico segregandole in cattività, rendendole inutilizzabili al rinsanguamento delle popolazioni naturali e creando delle combinazioni artificiali non corrispondenti ad alcuna delle tipologie presenti in natura. La tutela ambientale, invece, per essere veramente tale, dovrebbe puntare alla reintroduzione in libertà degli animali, cosa che è praticamente impossibile.
Insomma, diciamolo ancora una volta: volenti o nolenti, gli zoo sono e rimangono una prigione, una forma di orribile maltrattamento, un luogo di non vita per esseri senzienti cui è negata la libertà. Non è corretto parlare di priorità.
Intanto, sul web è nata una petizione per chiedere giustizia per Harambe, che ha registrato oltre centomila firme in meno di 24 ore. Per firmarla clicca qui
Germana Carillo
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