Si celebra oggi, 29 luglio, la Giornata Mondiale delle tigre. Tre delle nove sottospecie di questo elegante felino si sono estinte negli ultimi 100 anni: la tigre di Bali, a partire dal 1937, la tigre del Caspio, dopo il 1970, e la tigre di Java negli anni '90.
Si celebra oggi, 29 luglio, la Giornata Mondiale delle tigre. Tre delle nove sottospecie di questo elegante felino si sono estinte negli ultimi 100 anni: la tigre di Bali, a partire dal 1937, la tigre del Caspio, dopo il 1970, e la tigre di Java negli anni ’90.
E non solo. Come se non bastasse, le sei sottospecie rimaste sono costrette anno dopo anno alla riduzione del proprio habitat originario e sono sulla soglia dell’estinzione con meno di 3mila esemplari.
“Avanti così e tutte le tigri viventi oggi in natura saranno estinte nei prossimi 5 anni”, dicono dall’International Tiger Day, l’istituzione formata nel 2010 che decretò per ogni 29 luglio le celebrazioni per la Giornata Mondiale della Tigre.
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Cosa si potrebbe fare, allora, per scongiurare l’ennesima estinzione in natura. Gli esperti dicono che l’unico strumento a disposizione potrebbe essere la reintroduzione in natura degli esemplari allevati nei parchi zoologici. Ma questi sono dei progetti molto complessi, che dovrebbero coinvolgere anche le popolazioni locali e che hanno bisogno di decenni per realizzarsi.
Intanto, in occasione della Giornata Mondiale della Tigre, Survival International si appella per un modello di conservazione che rispetti i popoli indigeni e li riconosca come i migliori conservazionisti e custodi del mondo naturale, invece di criminalizzarli e sottoporli a violenze. La scorsa settimana un bambino di sette anni è stato ferito nel Parco Nazionale di Kaziranga, in India, dove le guardie sono incoraggiate a sparare a vista ai sospetti intrusi nel nome della protezione dei rinoceronti e delle tigri. Ma questa è soltanto una famigerata politica a causa della quale sono state già uccise troppe persone. E mentre il turismo viene incoraggiato, gli abitanti indigeni dei villaggi rischiano arresti, torture e persino la morte.
“I diritti degli abitanti indigeni vengono logorati dalla paura costante della morte che incombe sulle loro teste”, racconta un attivista locale a Survival. “Invece di essere trasformati in nemici, dovrebbero essere proprio loro a prendersi cura del parco nazionale – la politica governativa, invece, li impoverisce e li aliena. Non hanno mezzi di sussistenza e vivono in uno stato perenne di prigionia”.
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In più, di recente, quattro funzionari forestali di Kaziranga sono stati arrestati per coinvolgimento nel commercio illegale di fauna selvatica. Un caso (ma ce ne sono tanti) che dimostra come prendere di mira i popoli indigeni distoglie l’attenzione dalla lotta ai veri bracconieri e danneggia la conservazione.
Ma ci sono anche buone notizie. Nella riserva delle tigri di BRT, in India, gli indigeni Soliga si sono visti riconoscere il diritto di vivere nella loro terra ancestrale. I Soliga hanno una profonda venerazione per le tigri e, convivendo al loro fianco, il numero di esemplari di questo animale è aumentato notevolmente, superando la media nazionale.
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Un modo, questo, per far comprendere che la conservazione delle foreste non è possibile senza le comunità tribali e locali e viceversa. Vita della foresta e vita della tribù devono andare di pari passo serenamente e più volte si è dimostrato che i popoli indigeni sanno prendersi cura dei loro ambienti meglio di chiunque altro.
Germana Carillo