Onda, Titti e Tato. Sono alcuni dei cani che scodinzolano per il carcere di Bollate. Perché proprio qui si svolge un corso per operatori dog sitter professionali ideato e progettato appositamente per le persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale
Onda, Titti e Tato. Sono alcuni dei cani che scodinzolano per il carcere di Bollate. Perché proprio qui si svolge un corso per operatori dog-sitter professionali ideato e progettato appositamente per le persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale.
A fine corso i detenuti conseguiranno tesserino tecnico e certificazione nazionale del CSEN – il Centro Sportivo Educativo Nazionale e potranno svolgere autonomamente attività quali dog sitter, dog walker e dogdaycare.
Si tratta di un progetto originale e nobile inserito nell’offerta ricreativo-culturale rivolta alle persone in esecuzione penale, che si svolge con cadenza settimanale, sia presso la sezione femminile che presso la sezione maschile. Organizzato e coordinato dal DIVET dell’Università Statale di Milano, unisce all’obiettivo di rieducazione, crescita culturale e reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti quello del recupero e dell’adottabilità dei cani randagi ospitati da canili.
Il percorso sarà strutturato su un modello innovativo di EAA-Educazione assistita con animali professionalmente qualificante e in linea con quanto prescritto dalle linee guida nazionali in materia di interventi assistiti con animali (IAA). Oltre a conferire agli allievi le tecniche e la professionalità di operatori del ramo pet care, il corso costituirà per i detenuti anche una vera e propria esperienza di pet therapy, un tipo di attività già in atto a Bollate sotto la supervisione dell’associazione Cani Dentro onlus.
Dopo la fase di formazione, si passerà alla creazione di un network operativo volto a facilitare l’assunzione dei detenuti autorizzati al lavoro esterno presso aziende agricole e di pet care. I vantaggi ci sono anche per i cani coinvolti nell’intervento, che saranno ex-randagi ospiti di canili o rifugi, preventivamente sottoposti a percorsi di rieducazione e socializzazione ad opera di personale specializzato.
Questo tipo di lavoro, l’acquisizione delle attitudini richieste dalla pet therapy rappresenterà per questi cani una ulteriore occasione di socializzazione e relazione positiva con l’uomo, favorendo sensibilmente le loro possibilità di venire adottati e accolti in famiglia.
“Malgrado la presenza di attività di pet therapy sia un dato abbastanza diffuso, il settore lavorativo del pet care è ancora molto poco proposto nelle carceri – osserva Federica Pirrone, ricercatrice alla Statale e responsabile del Progetto – esso invece si adatta molto bene alla realtà carceraria, perché comprende attività che richiedono un’assunzione di responsabilità da parte della persona e quindi risultano importanti dal punto di vista del trattamento; inoltre interessa figure professionale molto ricercate dal mercato”.
Ma come hanno reagito i detenuti? L’incontro con gli animali, racconta l’associazione Cani dentro, ha suscitato subito interesse e curiosità, anche perché alcuni partecipanti possiedono cani e animali in genere e la possibilità di avere un contatto diretto con il cane permette loro, da una parte, di riprendere il filo di un’affettività improvvisamente, e forzatamente interrotta, e, dall’altra, di tornare, seppur virtualmente e per un breve lasso di tempo, in libertà. I risultati sono così positivi e incoraggianti che non possiamo che augurarci che venga esteso a tutte le strutture di detenzione…
Roberta Ragni
Photo Credit @CANI DENTRO Onlus
Galline in fuga dalle loro gabbie trovano la libertà…in carcere