C'era anche Ric O'Barry, ex trainer protagonista del documentario Premio Oscar "The Cove", tra i manifestanti provenienti da tutta Europa che in queste ore stanno chiedendo ai leader dell'Ue di chiudere i 34 delfinari con 286 cetacei reclusi al loro interno, tra tursiopi, orche, beluga, focene, grampi. la protesta si è svolta oggi pomeriggio di fronte agli uffici dell' "Health, Food Chain Safety and Environment" a Bruxelles.
C’era anche Ric O’Barry, ex trainer protagonista del documentario Premio Oscar “The Cove”, tra i manifestanti provenienti da tutta Europa che in queste ore stanno chiedendo ai leader dell’Ue di chiudere i 34 delfinari con 286 cetacei reclusi al loro interno, tra tursiopi, orche, beluga, focene, grampi. la protesta si è svolta oggi pomeriggio di fronte agli uffici dell’ “Health, Food Chain Safety and Environment” a Bruxelles.
Perché chiuderli? Per molti motivi, a cominciare dal fatto che l’aspettativa di vita di questi animali in cattività è decisamente ridotta e che la mortalità tra i neonati è talmente elevata che la popolazione di cetacei nati in cattività non riesce a soddisfare le richieste del mercato e che, proprio per questo, vi è l’esigenza di ulteriori catture in natura. È la stessa EAZA (Associazione Europea Zoo ed Acquari) ad ammetterlo.
VITTIME PER BUSINESS. Contrariamente a quanto la norma consentirebbe per l’uso dei cetacei con finalità commerciali, ben 98 tra quelli presenti in Europa provengono da catture effettuate in natura da Paesi quali: Cuba, Russia e Usa. Si valuta che questi dati siano, peraltro, assolutamente sottostimati. Senza ombra di dubbio per entrare in un delfinario si paga un biglietto e nonostante sia vietata l’importazione dei cetacei a scopi commerciali, tutto questo avviene costantemente, in spregio delle norme.
“Da una serie di Report effettuati da Whale and Dolphin Conservation, da Born Free e dalle Associazioni del network ENDCAP tra le quali anche l’Enpa -dichiara Ilaria Ferri direttore scientifico della Protezione Animali – emergono sconcertanti realtà. Nonostante le norme lo vietino, gli animali sono costretti ad esibirsi, addestrati attraverso la deprivazione alimentare e sottoposti ad una continua musica assordante durante gli show”.
GUARDARE MA NON TOCCARE? Gli animali sono anche obbligati ad avere contatti con le persone, causando quindi un serio problema di reciproca tutela della salute e di incolumità. Nonostante in Italia questo sia vietato, secondo quanto previsto dal Decreto n.469/2001 che stabilisce criteri per la detenzione dei Tursiopi (delfini), in ben 5 strutture presenti nel nostro Paese tutto questo accade regolarmente durante gli spettacoli. “La violazione della norma è costante, anche perché le strutture non rispondono ai minimi criteri che la norma prevede, sia per quanto concerne le strutture che per la gestione degli animali. E assordante è il silenzio dei Ministeri competenti che non prendono provvedimenti nonostante siano stati chiamati più volte a farlo da noi”, prosegua la Ferri.
“Considerando che queste creature sono sottoposte a continue violazioni, visto che non sono nella condizione di poter esprimere comportamenti naturali; che sono sottoposte ad addestramenti coercitivi e deprecabili; che quasi nessuna struttura in Europa è risultata adeguata alla normativa vigente (direttiva 1999/22/EC); che le strutture non possono avere alcun ruolo educativo e che non risultano aver fornito dati significativi per la conservazione, anzi sono responsabili di continue catture in mare per rifornire i delfinari (alimentando anche l’orrore della mattanza dei delfini in Giappone nella Baia di Tajij) richiediamo l’immediato intervento dell’Unione Europea affinché garantisca, come previsto dai trattati, la corretta applicazione delle norme nei Paesi membri e che provveda alla richiesta di immediata chiusura di tutte le strutture che detengono cetacei in Europa”, conclude la direttrice scientifica.
EVENTI IN ITALIA PER SALVARE I DELFINI. Intanto in Italia, in occasione della giornata mondiale contro la cattività dei mammiferi marini, LAV e Marevivo lanciano la campagna SOS delfini, con un’investigazione della LAV che svelerà le gravi violazioni nelle strutture in Italia. E il prossimo 29 giugno avrà invece luogo un presidio in Piazza della Rotonda – Roma (Pantheon) dalle ore 16 alle 20, in adesione all’evento Internazionale Global Olympic Dolphins Campaign.
“Questa protesta pacifica di portata mondiale si svolgerà per aumentare la consapevolezza del brutale massacro quotidiano e del commercio dei delfini catturati a Taiji e in tutto il Giappone, per una vita di prigionia e dello sterminio delle balene, ormai a rischio di estinzione”, ci spiega Marina Kodros del Coordinamento Antispecista, in prima linea nella lotta alla salvaguardia dei delfini.
Il Comitato Olimpico Internazionale, che si riunirà Il 3 e 4 luglio presso la sede delle Olimpiadi in Svizzera, dovrà vagliare, infatti, tutte le offerte di accoglienza delle tre città in lizza e poi decidere quale di queste dovrebbe ospitare le Olimpiadi del 2020. Una di queste città è Tokyo. Roma e altre 53 città nel mondo chiederanno al comitato olimpico di pretendere dal Paese la sospensione immediata delle stragi di Taiji e delle balene, pena l’esclusione della loro candidatura.
TUTTO INIZIA A TAIJI. E ormai tutti sanno che è proprio da qui, da Taiji, che hanno origine i sanguinari e lucrosi guadagni conseguiti con la vendita di delfini a parchi acquatici e delfinari. “Noi vogliamo che nessun animale venga rinchiuso in una gabbia o una vasca. Non vogliamo gabbie o vasche più grandi, ma le vogliamo vuote“, conclude la Kodros.
Roberta Ragni