Così i produttori cinesi di pellicce stanno lucrando sulla chiusura degli allevamenti di visoni in Danimarca (e nel mondo)

Mentre milioni di visoni vengono abbattuti in Europa e nel mondo, i commercianti e gli allevatori cinesi stanno facendo tutt'altro

Sembra incredibile eppure sta accadendo davvero. In questo momento, molti paesi del mondo stanno vietando l’allevamento di visoni. Lo ha fatto la Danimarca, il principale allevatore mondiale, ma c’è un paese che invece sta andando controcorrente per pure ragioni economiche e sapere qual è vi lascerà a bocca aperta: la Cina.

Mentre milioni di visoni vengono abbattuti in Europa e nel mondo per paura che possano diffondere una versione mutata del covid, i commercianti e gli allevatori cinesi stanno facendo tutt’altro e in barba ai timori stanno letteralmente gongolando e approfittando di un aumento dei prezzi globali per la preziosa e richiesta pelliccia. A rivelarlo è una nuova inchiesta di Reuters, un reportage di Yew Lun Tian e Martin Pollard a Shangcun, David Stanway a Shanghai.

Se è vero che gli allevamenti stanno chiudendo, d’altra parte la richiesta di pellicce di visone è rimasta tale. E la Cina ha deciso prontamente di approfittarne senza considerare i rischi per la salute, rischi che stanno preoccupando gli altri paesi del mondo.

Dalla Danimarca coi suoi abbattimenti di massa, all’Ungheria che pur non avendo allevamenti nei propri confini ha  deciso in questi giorni di vietarli per paura che gli allevatori di altri Paesi possano scegliere l’Est Europa come nuova sede per le loro sporche attività. Il mondo dell’allevamento di visoni si è fermato ma in Cina ha trovato nuova linfa.

Ed è così che gli allevatori di visoni cinesi, scossi dal divieto di commercio di fauna selvatica all’inizio della pandemia, stanno ora riprendendo l’allevamento a tutto spiano. Ma non solo: i commercianti hanno aumentato i prezzi fino a un terzo approfittando del fatto che le forniture sono sempre meno.

Nel villaggio di Shangcun, a circa 180 km a sud di Pechino, nota localmente come la capitale cinese del commercio di pellicce di visone, il mese scorso i commercianti hanno affermato che la loro attività era sicura e prosperava poiché i produttori cercavano pelli che costassero da circa $ 1000 a ben oltre $ 10.000 o più ciascuno.

La Danimarca finora è stato il più grande esportatore di visoni al mondo ma ha già annunciato che abbatterà circa 15-17 milioni di animali dopo che alcuni sono risultati positivi a una forma mutata del coronavirus, sollevando preoccupazioni sul fatto che i ceppi resistenti ai vaccini potrebbero ricircolare negli esseri umani. Prima degli abbattimenti, la Cina era il secondo produttore di pellicce di visone dopo la Danimarca. Et voilà, lo stop della Danimarca ha reso la Cina il primo produttore mondiale.

“La Danimarca è al centro della catena di approvvigionamento. Se ci sarà un’interruzione, sarà sicuramente un problema per la fornitura, che farà salire il prezzo”, ha detto Zhao Yangang davanti a mucchi di pelliccia di visone nella sua bancarella improvvisata in un mercato all’aperto.

Già, quei mercati finiti al centro delle polemiche all’inizio della pandemia e a cui è attrabuita addirittura l’origine dell’epidemia. Mercati umidi ancora aperti in Cina, dove gli animali selvatici allevati a scopo alimentare sono tenuti in gabbia e macellati sul posto senza alcun rispetto di norme igienico-sanitarie e di benessere animale.

Il controsenso cinese (in nome del dio denaro)

Se da una parte, il governo cinese ha fatto valere la linea dura per debellare l’infezione e circoscrivere i nuovi contagi, dall’altra il giro d’affari legato agli allevamenti di visoni è fin troppo ghiotto. E il paese ha deciso di non rinunciarvi. La Cina ha seguito ogni singolo di contagio, lo ha tracciato, lo ha esaminato ma non sta mostrando la stessa attenzione nei confronti dei suoi allevamenti di visoni, che secondo i ricercatori sono circa 8.000 e in cui vivono circa 5 milioni di animali.

I gruppi per il benessere degli animali in tutto il mondo hanno sollecitato il divieto dell’allevamento di animali da pelliccia, affermando che la pandemia COVID-19 dimostra che l’allevamento intensivo in cattività non è solo crudele ma anche pericoloso per la salute umana. Studi scientifici suggeriscono anche che i visoni sono particolarmente inclini all’infezione da coronavirus e potrebbero ritrasmettere il virus all’uomo. La Cina è chiaramente consapevole dei rischi per la salute dell’allevamento intensivo di tali animali.

“L’allevamento di animali selvatici o (l’ambiente) di allevamento di animali da pelliccia è fondamentalmente innaturale”, ha affermato Peter Li, specialista della politica cinese della Humane Society International. “Quando sono privati dei comportamenti naturali, sono mentalmente e fisicamente compromessi. Si ammalano facilmente”.

“Quando si tratta di rischi per la salute pubblica, queste fattorie e questi mercati sono molto simili al mercato degli animali vivi a Wuhan, dove si ritiene che il nuovo coronavirus abbia avuto origine”, ha affermato Jason Baker, Vicepresidente senior di People for the Ethical Treatment of Animals (PETA). “Gli sporchi allevamenti di animali da pelliccia sono pieni di esseri malati, stressati e feriti e sono terreno fertile per le malattie”.

Se da una parte le autorità hanno intensificato i controlli e offerto test gratuiti sul coronavirus in alcuni grandi impianti di riproduzione, è improbabile che Pechino voglia o riesca a contenere un settore che guadagna circa 50 miliardi di dollari all’anno nella sola Cina.

“È stato fantastico”, ha detto Wang He, un commerciante e allevatore di Shangcun, i cui guadagni sono aumentati del 30-50% quando il prezzo della pelliccia di visone è aumentato dopo che la Danimarca ha ordinato l’abbattimento dei propri animali.

Dal canto suo, le autorità si sono trincerate dietro al silenzio. Il ministero dell’Agricoltura e degli Affari rurali non ha risposto a una richiesta di commento.

Quel divieto abilmente raggirato…

La scorsa primavera, in piena pandemia, la Cina ha disposto il divieto totale di tutto il commercio di fauna selvatica nel paese, costringendo alcuni allevatori, soprattutto i più piccoli, a chiudere l’attività. Ma c’è un fatto che è passato inosservato e oggi rivela una premeditazione da parte del colosso asiatico: ad aprile, il governo ha dichiarato che il visone, la volpe artica e il procione sarebbero stati classificati come “bestiame speciale” invece che come animali selvatici, e quindi sarebbero stati esentati dal divieto.

Inutile dire che i fornitori e commercianti di visoni cinesi che hanno avuto difficoltà negli ultimi anni a causa del calo della domanda estera stanno già beneficiando dell’aumento dei prezzi. E la domanda cinese è rimasta forte, con la ricchezza in aumento e poco interesse per la tutela dei diritti degli animali edel paese.

Non abbiamo imparato nulla

“Se l’obiettivo è ridurre la trasmissione, allora sì, avere questi allevamenti di visoni è un grosso rischio perché rende molto più difficile la gestione dell’epidemia e crea così grandi serbatoi di ospiti sensibili”, ha detto Francois Balloux, genetista dell’University College Londra.

E fa riflettere che la notizia arrivi proprio dalla Cina, il paese da cui tutto è partito probabilmente proprio da quei mercati umidi che hanno indignato il mondo. E pensare che molti allevatori cinesi stavano pensando di abbandonare del tutto l’attività, ha detto Zhao Yangang, un altro commerciante di visoni:

“Si stavano preparando a smettere di allevare, ma ora che i mercati hanno iniziato a muoversi in questo modo, hanno ricominciato a farlo”.

Non riusciamo a imparare dai nostri errori, nonostante i milioni di morti che ogni giorno contiamo.

Fonti di riferimento: Reuters

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