Certificazione benessere animale: perché è ingannevole per i consumatori

La certificazione sul benessere degli animali sarebbe una presa in giro per i consumatori e per gli animali e non garantirebbe reali benefici

ll progetto di certificazione volontaria nazionale sul benessere animale proposta proposta dai ministri Speranza e Bellanova preoccupa le associazioni, poiché sarebbe ingannevole per i consumatori.

Secondo ENPA, CIWF, Greenpeace, e Legambiente la certificazione rappresenterebbe “un tentativo per sdoganare e imbellettare i prodotti da allevamento intensivo sul banco del supermercato” privo di un impatto positivo sulla vita degli animali.

Il progetto presentato lo scorso 21 ottobre dal Ministero delle Politiche Agricole e dal Ministero della Salute ad allevatori, produttori e veterinari dovrebbe infatti indicare ai consumatori, in maniera univoca, quali prodotti presentano caratteristiche superiori alla legge in termini di benessere animale, mentre in realtà a oggi sembra semplicemente proporre criteri al limite del rispetto della legge o di poco superiore a essa.

Secondo le associazioni ambientaliste e animaliste, si tratterebbe di una presa in giro per i consumatori, oltre che per gli animali.

Ad esempio, per i suini verrebbe definito “benessere animale” prevedere solo 0,1 mq in più di spazio per un animale di 170 kg, che avrebbe quindi a disposizione 1,1 mq invece che 1 mq previsto dalla normativa europea.
Inoltre, sempre per i suini, la certificazione riguarderebbe solo la fase di ingrasso, non comprenderebbe la riproduzione e verrebbe dunque attribuita a prodotti suinicoli provenienti da scrofe allevate in gabbia.

Non solo: gli allevatori che applicano già oggi criteri più sostenibili, sarebbero penalizzati  dall’impossibilità di distinguersi sul mercato.

“Siamo di fronte all’ennesimo tentativo di sostenere il sistema produttivo intensivo che provoca sofferenze agli animali, non consentendo loro di esprimere i propri comportamenti naturali, danneggia l’ambiente inquinando aria e acqua, impoverendo il suolo, minacciando la biodiversità e compromettendo seriamente il clima. Tutto questo anche a danno dei cittadini, cui non vengono fornite informazioni chiare riguardo ai prodotti che acquistano e che infine si trovano a pagare, attraverso le tasse, per i danni procurati da chi inquina”, hanno dichiarato le associazioni.

Le associazioni e decine di migliaia di cittadini hanno chiesto attraverso una petizione e un Twitterstorm organizzato nella giornata di oggi, un’etichetta che indichi chiaramente il metodo di allevamento così da tutelare animali, ambiente, allevatori virtuosi e consumatori.

“È inaccettabile, come già accade purtroppo oggi, che al claim ‘benessere animale’ corrispondano prodotti provenienti indistintamente da animali allevati al pascolo, in stalla o legati tutta la vita, come nel caso delle vacche da latte.
Questo deve cambiare e i cittadini hanno il diritto di ricevere informazioni corrette e di poter scegliere. Per questo chiediamo ai Ministri Bellanova e Speranza di cambiare rotta e creare una certificazione volontaria che preveda in etichetta il metodo di allevamento (es. in gabbia, in stalla, all’aperto) e quindi più livelli per le diverse specie”, hanno spiegato le associazioni.

Secondo le associazioni deve inoltre essere elaborata al più presto una roadmap per la transizione verso sistemi di allevamento più sostenibili che migliorino seriamente il benessere degli animali e che siano anche in grado di ridurre i costi ambientali e di tutelare la salute umana.

Andrebbero eliminati gradualmente i sussidi da destinare ad aziende che danneggiano l’ambiente e incentivare invece sistemi di allegamento estensivi e all’aperto devono essere eliminati a favore di sistemi di allevamento estensivi e all’aperto.

Sistemi che, lo ricordiamo, potrebbero avere senso e portare reali benefici solo se tutti noi consumatori riduciamo sensibilmente il consumo di carne e di prodotti di origine animale.

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Tatiana Maselli

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