Cani beagle modificati geneticamente in laboratorio per sviluppare disturbi dello spettro autistico

Creati in laboratorio Beagle mutanti da utilizzare per i test sull'autismo. Si tratta del primo modello canino su cui fare ricerca sul disturbo dello spettro autistico. Un punto di partenza per gli studiosi coinvolti nel lavoro, un orrore che supera ogni confine etico per altri

Quando la scienza e la ricerca provano ad addentrarsi con ogni mezzo nello studio di patologie i limiti imposti dall’etica vengono superati più e più volte. Lo ha provato il caso della scimmia chimerica dal polpastrelli luminosi e lo prova nuovamente il primo modello di cane con disturbi dello spettro autistico: un Beagle modificato geneticamente.

Un team di studiosi dell’Accademia cinese delle Scienze, della Beijing Sinogene Biotechnology e della Yale School of Medicine ha generato linee mutanti di Beagle, pronte per più generazioni di test. Ne dà notizia uno studio scientifico apparso recentemente sulla rivista Molecular Psychiatry di Nature.

Nel corso degli esperimenti è stato mutato il gene SHANK3, un gene chiave identificato nei pazienti con disturbo dello spettro autistico, con l’obiettivo di creare cavie canine su cui testare nuovi farmaci.

I cani, a differenza di altre specie, hanno interazioni complesse simili a quelle che si verificano tra gli uomini. I Beagle, poi, sono una razza utilizzata dai ricercatori per grande praticità. Ce lo aveva spiegato anche la dottoressa Michela Kuan parlando dei Beagle di Green Hill.

Per realizzare dunque campioni più performanti rispetto ai topi o ai primati, i ricercatori hanno creato Beagle che mostravano evidenti disagi, ansia sociale e ridotte interazioni con gli esseri umani. Ciò è stato dimostrato sia da comportamenti osservati, come la coda rigida o piegata, che dagli esami del sangue eseguiti.

L’intento della ricerca è comprendere meglio i meccanismi che si celano dietro all’autismo e lavorare su trattamenti innovativi.

Ma a quale costo? Quello di migliaia di vite allevate in centri di riproduzione per essere sacrificate alla sperimentazione animale.

“Dimostriamo la fattibilità di produrre un gran numero di animali mutanti in un arco di tempo ragionevole” precisano i ricercatori nello studio, qualora vi fossero dubbi.

In un periodo storico in cui si cerca di accantonare in via definitiva la ricerca su animali e di sostenere metodi alternativi, test come questi lasciano allibiti e impongono profonde riflessioni. Fino a che punto ci si può spingere? Quanto è giusto tutto ciò?

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Fonte: Molecular Psychiatry

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