La verità nascosta sulla conservazione dei panda in Cina, tra fabbriche per la riproduzione e business degli zoo

Cosa si cela dietro la conservazione dei panda, animali emblema della Cina e trasformati dalle autorità in un business senza scrupoli? Lo svela una nuova indagine, ripercorrendo la storia di questi mammiferi iconici tra luci e ombre

Ci vengono mostrati come seguiti e curati amorevolmente da personale specializzato, presentati alla rete e al pubblico nella loro disarmante tenerezza. Pensando ai panda, la prima immagine che ci viene in mente è proprio quella di un guardiano che tiene tra le braccia un adorabile cucciolo.

Magari quello scatto arriva proprio dal Chengdu Research Base of Giant Panda Breeding, il centro del panda gigante e altri animali rari con sede nella provincia del Sichuan.

È in questa parte della Cina e non solo, tra zoo che espongono cani tinti per assomigliare ai panda, il governo cinese finanzia la ricerca e l’allevamento del mammifero simbolo del Paese. Ma cosa questo comporti, al di là di dolci nascite, non è ben chiaro a tutti.

Ad accendere i riflettori su questa “fabbrica di panda” è un’inchiesta condotta dal New York Times, che ha ottenuto del materiale esclusivo dagli archivi della Smithsonian Institution.

Attraverso interviste a persone vicine alla centro di Chengdu o direttamente coinvolte nella ricerca, il New York Times svela l’altra faccia della medaglia dei piani di conservazione della specie.

Dalla fine degli anni Novanta, la Cina ha avviato programmi per lo studio dei panda, la biologia, i loro comportamenti, nonché le contromisure per rispondere al calo della popolazione in natura. Tra le contromisure vi è l’allevamento condotto alla base panda. Ma di che tipo di allevamento si parla?

Non è esattamente quello che ci fanno vedere e i reporter del celebre quotidiano della Grande Mela ne hanno preso consapevolezza analizzando pagine e pagine di documenti dalle molte ombre.

Pratiche come l’elettroeiaculazione rettale nei maschi per procedere alla riproduzione forzata tramite inseminazione artificiale, rischi legati all’anestesia con anche il caso clamoroso di un esemplare morto nell’anno 2010 in Giappone per via dell’elettroeiaculazione.

E non è tutto quello che è emerso scoperchiando il vaso di Pandora o dei panda. Dall’investigazione è stato scoperto che l’obiettivo ultimo di questi programmi non sarebbe tanto la reintroduzione degli esemplari in natura quando il trasferimento negli zoo.

Ma questo, in parte, si era già intuito seguendo la politica attuata dalla Cina sulla cosiddetta “diplomazia dei panda“. Essendo una preziosa merce di scambio, i panda sono diventati espressione della potenza della Cina e sfruttati per mantenere saldi i rapporti con altri Stati e rafforzare la cooperazione internazionale.

Ne sono esempio i tanti panda prestati negli zoo di tutto il mondo e ritornati in Cina a “fine contratto”. L’inchiesta offre un’interpretazione diversa delle azioni di conservazione della specie promosse, mettendo in luce una storia molto più complessa e opaca.

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Fonte: New York Times

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