La gestione degli orsi del Trentino, nel mirino delle istituzioni e dei cacciatori, ha fatto discutere anche fuori dai confini del nostro Paese. Ad occuparsene il canale tv franco-tedesco ARTE, in un documentario d'inchiesta firmato dalla nostra collaboratrice Francesca Capozzi. Attraverso interviste, approfondimenti e sopralluoghi nel santuario per orsi più grande del mondo, ci porta in un viaggio alla scoperta del mondo di questi animali straordinari, dipinti troppo spesso come un pericolo (invece che una risorsa da tutelare e valorizzare)
Da mammiferi a rischio estinzione da proteggere a una minaccia per l’uomo: negli ultimi anni la percezione degli orsi bruni del Trentino ha subito uno stravolgimento. Dopo la vicenda del runner Andrea Papi, il 26enne ferito a morte la scorsa primavera dall’orsa JJ4-Gaia – mentre era in compagnia dei suoi cuccioli – nei boschi della Val di Sole, è stata avviata una vera e propria guerra contro i plantigradi.
Com’è noto, la Provincia autonoma di Trento ha optato per la linea più dura e cruenta, firmando ordinanze di condanne a morte, che hanno sollevato un enorme polverone fra attivisti per animali e cittadini. La questione ha travalicato i confini italiani, tanto da attirare l’attenzione della tv estera.
A interessarsi alla questione anche il noto canale franco-tedesco ARTE, per il quale è stato realizzato un documentario. Protagonista è la collaboratrice di greenMe Francesca Capozzi, che ha seguito tutti gli sviluppi sugli orsi trentini per noi e che ora firma un interessante docu-inchiesta andata in onda la scorsa settimana (QUI potete vedere il filmato completo).
Viaggio nel mondo degli orsi bruni in Europa (fra luci e ombre)
Così per lei è iniziato un lungo viaggio, emozionante e ricco di sorprese, che l’ha portata fino in Romania, nell’enorme santuario per plantigradi che si era reso disponibile ad accogliere Gaia per permetterle di vivere in natura, insieme ai suoi simili.
L’obiettivo del documentario d’inchiesta – dal titolo “Gefahr durch Bären: Ausbreitung auf leisen Sohlen” (“Il pericolo orsi si diffonde silenziosamente”) – era offrire uno spunto di riflessione agli spettatori per comprendere quale sia la gestione migliore di questi animali, partendo dalle vicende che riguardano JJ4 e in generale gli orsi trentini, con un focus sulle loro sorti e sulla dura battaglia intrapresa dal governatore Maurizio Fugatti.
Da un lato vengono mostrate le varie azioni di protesta portate avanti in Italia dagli animalisti e da cacciatori, dall’altro le posizioni di esperti che si occupano di fauna selvatica.
Francesca Capozzi ha avuto la fortuna di rivolgere alcune domande ad Andrea Mustoni, coordinatore tecnico del progetto Life Ursus, ma anche discutere con il colonnello Giovanni Giovannini, dirigente del servizio forestale della Provincia di Trento, il naturalista Paolo Togni, Christina Lapis – fondatrice del Libearty Bear Sanctuary – e di sentire il parere degli abitanti di Malé, capoluogo della Val di Sole, sulla convivenza uomo-orso; questi ultimi hanno espresso la loro paura a girare nei boschi, dato che non si sentono protetti.
Alla scoperta del santuario per orsi più grande del mondo
Il viaggio della nostra collaboratrice – che conosce bene la lingua tedesca – ha avuto come ultima tappa quella che è una vera e propria oasi per orsi: il Libearty Bear Sanctuary di Zarnesti (Romania), il santuario per plantigradi più grande del mondo.
“Questo non è uno zoo, è la nostra foresta, la nostra casa” si legge in un cartello all’ingresso, dove viene subito chiarita la missione di questo luogo inaugurato nel 2005 da Cristina Lapis insieme al marito. Nel parco, che si estende su 69 ettari, vivono in pace oltre 100 orsi bruni salvati dagli zoo e da situazioni di abusi e maltrattamenti.
Tutto nasce nel 1998, quando la donna si imbatté negli occhi sofferenti di Maya, un’orsa rinchiusa in una minuscola e triste gabbia di ferro davanti a un hotel. Da quel momento si è recata per i successivi quattro anni da lei per nutrirla e per cercare di liberarla. E quando è morta fra le sue braccia nel 2002, Cristina le promise che nessun orso avrebbe dovuto soffrire così tanto, così decise di darsi da fare concretamente.
Oggi il Libearty Bear Sanctuary sta davvero facendo la differenza per decine di orsi, strappati a destini terrificanti e disumani. E la nostra Francesca Capozzi ha potuto tastare con mano in che condizioni vivono qui i plantigradi. Qui gli orsi possono rotolarsi sull’erba, muoversi liberamente fra gli alberi e immergersi nei laghetti sparsi nelle diverse aree per rinfrescarsi.
Mettere piede in questo luogo per lei è stato quasi commovente, anche perché è stata coinvolta in prima persona anche nella preparazione del cibo per gli orsi.
Incrociare lo sguardo di un orso nel santuario è stata un’emozione indescrivibile. Mi sono persa in quegli occhi bruni. – ci racconta Francesca Capozzi – Indescrivibile sia perché ho avuto il privilegio di ammirare un animale così maestoso come l’orso a pochi passi da me sia perché ero consapevole che quegli orsi avevano alle spalle un passato di violenze e maltrattamenti e saperli al sicuro in un santuario è a dir poco incredibile.
Nel corso del documentario ho avuto anche un’altra possibilità, quella di osservare anche gli orsi in natura, in Romania, nel loro habitat naturale e ho capito che con le giuste misure e i giusti comportamenti in caso di incontro gli incidenti possono essere davvero evitati. Tutto dipende dalla situazione e da come si agisce.
Il Libearty Bear Sanctuary è un punto di riferimento nazionale e internazionale. La sua fondatrice ha subito accettato di aprire le porte del santuario a Gaia, come richiesto anche dalle associazioni animaliste italiane, spiegando di volerla ribattezzarla col nome Hope.
Tuttavia, purtroppo, l’orsa resta ancora nel triste centro vivaistico forestale Casteller di Trento, una sorta di prigione in cui vengono reclusi quei plantigradi ritenuti “problematici”. Una decisione fallimentare che dimostra quanto abbiamo ancora da imparare sulla convivenza fra fauna selvatica ed esseri umani…
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Fonte: ARTE
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