Una ricerca condotta in Kenya ha dimostrato che gli elefanti si chiamano l’un l’altro utilizzando richiami distintivi, esattamente come facciamo noi umani con i nomi propri. Ma si tratta di suoni che l’uomo non può sentire
Gli animali hanno dei nomi propri? Non quelli che possiamo dare noi umani, ma i richiami distintivi che usano per comunicare tra loro. La risposta è sì: diverse specie usano l’equivalente di nomi propri nel loro linguaggio e ora una ricerca condotta in Kenya, da sottoporre a revisione paritaria e pubblicata come prestampa in bioRxiv, come avevamo già spiegato, ha dimostrato che gli elefanti hanno dei “nomi”, anche se noi non possiamo sentirli.
Dopo una prima conferenza online del Simons Institute, un istituto di ricerca collegato all’Università della California a Berkeley (USA), tenutasi lo scorso giugno, l’ecologo Michael Pardo ha nuovamente illustrato i risultati di questo studio che rivela qualcosa di davvero straordinario sugli elefanti della savana africana (Loxodonta africana) del Parco Nazionale di Amboseli. L’occasione è stata la terza African Bioacoustics Community Conference.
Come si è svolta la ricerca
Gli elefanti comunicano tra loro utilizzando vari tipi di suoni, tra cui i brontolii a bassa frequenza, non udibili dall’uomo, che possono essere trasmessi fino a sei chilometri di distanza. I ricercatori hanno registrato 625 di questi suoni e li hanno classificati in base al contesto in cui si sono verificati.
Analizzandoli con l’intelligenza artificiale, hanno scoperto che alcuni dei boati (circa un quinto di quelli registrati) erano usati specificamente per rivolgersi a particolari individui. I ricercatori hanno quindi fatto ascoltare alcuni di questi boati a 17 elefanti e hanno scoperto che gli individui si muovevano più rapidamente verso il suono che identificavano come proprio e vocalizzavano più velocemente in risposta: sapevano cioè di essere chiamati per nome.
Hanno anche osservato che elefanti diversi usavano spesso lo stesso tipo di brontolio per comunicare con un particolare destinatario, quindi questi nomi vocali non erano identificati con ruoli sociali, come “madre”.
Secondo i ricercatori, ai fini della comunicazione tra elefanti, questi suoni sarebbero equivalenti a nomi propri. Dopotutto i nomi umani sono essenzialmente “etichette vocali”, cioè insiemi di suoni che usiamo per identificarci a vicenda; quindi, anche le etichette vocali di altre lingue dovrebbero essere considerate nomi.
La comunicazione è fondamentale quando si vive in branco
Michael Pardo ha sostenuto che la ricerca del suo team “confonde il confine tra ciò che pensiamo sia unico del linguaggio umano e ciò che si trova in altri sistemi di comunicazione animale”. La comunicazione è particolarmente importante per gli animali che vivono in branco, come gli elefanti.
Usano i suoni per condividere informazioni, per avvertire del pericolo o per interagire tra loro. Non sorprende quindi che questi animali sviluppino etichette vocali per chiamarsi a vicenda. Una differenza rispetto alla nostra comunicazione è che questi “nomi” raramente appaiono in modo isolato, come facciamo noi umani quando, rivolgendoci a qualcuno, lo chiamiamo prima per nome per attirare la sua attenzione e poi trasmettiamo il messaggio vero e proprio.
Gli elefanti fanno diversamente: piuttosto che costituire un richiamo a sé stante, i nomi vocali degli elefanti possono essere inseriti all’interno di un richiamo che allo stesso tempo trasmette molteplici messaggi aggiuntivi.
Pardo, specializzato in ecologia comportamentale, ha sottolineato l’importanza di questa scoperta per capire che il linguaggio di altre specie ha caratteristiche che finora pensavamo fossero esclusive dell’uomo nonché la necessità di ulteriori ricerche sui modelli di comunicazione degli animali.
Fonte: Simons Berkeley
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