Possono le lumache essere più pericolose di squali, leoni e altri predatori di questo mondo? Sì, ecco perché alcune specie sono potenzialmente letali e responsabili di numerosissimi decessi in tutto il mondo
In ogni angolo della Terra si nasconde un animale più o meno pericoloso. Anche noi siamo tra questi, ma se leoni, squali e coccodrilli detengono il record essendo considerati spaventosi predatori naturali, ci sono alcune creature che non diresti mai essere così fatali.
Un esempio? Le lumache come le specie d’acqua dolce – in inglese freshwater snails – così piccole, lente, ma mica tanto indifese. Non hanno zanne e non sono velenose, ma allora perché sarebbero responsabili di centinaia e centinaia di morti ogni anno in tutto il Pianeta?
In un sondaggio apparso sul sito Statista le lumache d’acqua dolce comparirebbero infatti al quarto posto degli animali più letali che vi siano al mondo con un numero annuo di 20.000 decessi, precedute da cani, serpenti e zanzare.
Sottolineiamo che nel caso dei cani non si parla tanto di attacchi degli animali alle persone quanto della rabbia trasmetta da questi agli esseri umani. Stesso discorso vale per le zanzare con la trasmissione della malaria o della dengue. Mentre per le lumache d’acqua dolce? Qual è il loro temibile segreto?
Le lumache d’acqua dolce fungono da ospite intermedio della schistosomiasi, una malattia infettiva diffusa specialmente in Africa, in America Meridionale e in Estremo Oriente.
È uno dei parassiti più mortali del mondo – ha affermato Susanne Sokolow, esperta della Hopkins Marine Station della Stanford University – lo contrai semplicemente nuotando, entrando in acqua in qualsiasi modo, e i parassiti praticamente escono dalle lumache nell’acqua e ti cercano”
I parassiti della schistosomiasi penetrano nelle lumache d’acqua dolce, moltiplicandosi nel suo organismo nelle successive settimane. Una volta lasciato il corpo del mollusco, infettano l’essere umano o altri animali. Ciò avviene nel giro di 48 ore, tempo oltre il quale i parassiti muoiono.
La schistosomiasi si trasmette nelle acque che contengono le larve. Queste, dette cercarie, “si attaccano alla cute, vi penetrano e dai vasi capillari superficiali raggiungo i diversi organi del nostro corpo, qui le uova si accumulano portando alla comparsa di sintomi causati dalla cicatrizzazione dei tessuti” spiega l’Ospedale Niguarda.
Il ciclo ricomincia non appena una persona che ha contratto l’infezione espelle in acqua le uova del parassita tramite urina o feci.
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Fonte: Ospedale Niguarda – Statistica
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