Il programma prevederà la raccolta di campioni biologici provenienti da specie in via di estinzione, per poi creare una sorta di biobanca di informazioni genetiche. Ma è davvero questa la strada per preservare la fauna selvatica dall'estinzione?
L’impatto dell’uomo nella natura e soprattutto i cambiamenti climatici rappresentano un gravissimo problema per la sopravvivenza di alcune specie, tant’è che cresce sempre più la lista della fauna selvatica in via d’estinzione. Negli Stati Uniti adesso la U.S. Fish & Wildlife Service, in collaborazione con l’organizzazione no profit Revive & Restore e altri partner, vuole creare una sorta di biobanca delle specie in via di estinzione del paese, ma per farlo preleverà tessuti da esseri viventi e il materiale genetico potrebbe poi servire per riprodurre in cattività.
Probabilmente l’intento è buono: proteggere la diversità genetica ed evitare che alcuni animali scompaiano definitivamente. Ma il progetto di recupero non ci convince fino in fondo. Alla luce della crisi della biodiversità e dell’aumento dei rischi di estinzione, invece di creare una banca genetica, non sarebbe meglio adottare degli stili di vita più sostenibili e cercare di essere meno impattanti nel Pianeta? Perché come alternativa si pensa a una conservazione intenzionale e indefinita di cellule viventi, tessuti e gameti?
«Si tratta di creare un’eredità della storia naturale americana prima che vada perduta e fornisce un’importante risorsa per migliorare gli sforzi di recupero delle specie ora e in futuro”, spiega Ryan Phelan, direttore esecutivo di Revive & Restore.
Come sappiamo, le biobanche proteggono la diversità genetica, attualmente, solo il 14% delle oltre 1700 specie statunitensi elencate come minacciate o in via di estinzione hanno tessuti viventi crioconservati.
«Le biobanche ci danno la possibilità di salvare una diversità genetica insostituibile– spiega Seth Willey, vicedirettore regionale del Fish & Wildlife Service degli Stati Uniti- Se fatto bene, crea un indicatore nel tempo e offre ai futuri biologi del recupero opzioni, come il salvataggio genetico».
Il progetto prevede, dunque, la raccolta di tessuti, la creazione di linee cellulari viventi e la creazione di un archivio nazionale per la crioconservazione. Queste linee cellulari forniranno agli scienziati degli Stati Uniti i mezzi per monitorare le popolazioni esistenti attraverso dati genomici e per ampliare gli sforzi di salvataggio genetico utilizzando tecnologie riproduttive avanzate. I campioni verranno raccolti da animali selvatici e da programmi di riproduzione in cattività.
Tra le collaborazioni c’è anche quella con uno zoo di San Diego. Proprio gli zoo, lo ricordiamo, sono strutture i cui scopi principali non sembrano essere rivolti realmente alla conservazione delle specie, all’educazione del pubblico e nemmeno, purtroppo, a garantire agli animali condizioni di vita adeguate alle esigenze etologiche, ma prevalentemente esibire gli animali a scopo commerciale.
Insomma i dubbi che non ci saranno ripercussioni sulla fauna selvatica sono tanti, anche se la Revive & Restore, sponsorizza il progetto come unica soluzione al declino di numerose specie. Per adesso l’US Fish & Wildlife Service ha selezionato i suoi primi 24 mammiferi a rischio di estinzione negli Stati Uniti per la biobanca, tra cui il lupo messicano e il pipistrello della Florida.
Ma la domanda che ci poniamo è: ha senso muoversi per tracciare il patrimonio genetico invece di pensare a soluzioni che possano salvare la fauna selvatica vivente adesso, prima che rischi l’estinzione?
Fonte: Revive&Restore
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