Un nuovo studio mostra il numero impressionante di pesci selvatici catturati annualmente che finiscono per diventare olio o farina utili ad alimentare altri pesci. Un sistema assolutamente insostenibile alla cui base vi sono terribili crudeltà nei confronti degli animali
Un nuovo studio, pubblicato sulla rivista Animal Welfare, ha gettato luce sulla devastante portata della pesca intensiva a livello globale e su un aspetto poco noto della questione: un’enorme quantità di pescato viene trasformato in olio e farina con cui poi si realizzano mangimi per animali negli allevamenti.
Il rapporto svela che, a livello globale, tra 1,1 e 2,2 trilioni di pesci vengono catturati ogni anno. Ciò significa che, nonostante la crescente consapevolezza sulla sensibilità dei pesci, un numero impressionante di queste creature continuano a subire maltrattamenti durante e dopo la cattura. Le evidenze citate nello studio, infatti, parlano di pesci macellati senza prima essere prima storditi, pratiche disumane che non possono più essere accettate.
Il 2019 è stato particolarmente drammatico per i pesci selvaggi che hanno costituito l’87% di tutti i vertebrati destinati all’alimentazione umana o animale, secondo i dati FAO. Di particolare rilievo è il fatto che circa la metà di questi pesci, tra 490 e 1.100 miliardi di individui, vengono trasformati in farina e olio di pesce, prodotti destinati principalmente all’alimentazione di animali allevati come pesci e crostacei.
Tutto questo solleva ovviamente gravi preoccupazioni sia etiche che ambientali. Non solo questa pesca intensiva rovina l’ecosistema marino ma si sottraggono alimenti potenzialmente utili a sfamare la popolazione e il tutto con uno sfondo di sfruttamento e crudeltà nei confronti degli animali.
L’industria ittica utilizza il 70% della farina di pesce e il 73% dell’olio di pesce nell’acquacoltura. Tale pratica ha un impatto significativo sull’ecosistema marino e contribuisce all’estremo sfruttamento degli stock ittici.
Phil Brooke, responsabile della ricerca di Compassion in World Farming (CIWF) e co-autore dello studio (realizzato in collaborazione con Alison Mood di Fishcount), sottolinea che la cattura di pesci sensibili per produrre mangime potrebbe essere ridotta drasticamente, contribuendo a preservare la biodiversità marina e ad alleviare la pressione sulla pesca.
I pesci piccoli, in particolare, svolgono un ruolo cruciale per la catena alimentare marina, sarebbe quindi in primis da ridurre il numero di pesci piccoli catturati, portando a una diminuzione stimata delle catture totali compresa tra 150 e 330 miliardi.
L’esperto ha dichiarato:
Il nostro ultimo studio Fishcount mette in luce il numero impressionante di pesci selvatici catturati annualmente, con implicazioni etiche sia per le pratiche di pesca che per l’allevamento ittico. Innanzitutto, il benessere dei pesci catturati in natura, sia durante che dopo la cattura, è compromesso. Ogni singolo pesce – sia esso grande o piccolo – può provare dolore, proprio come gli altri animali, eppure durante la cattura viene sottoposto a terribili sofferenze e macellato senza stordimento. È necessario intervenire quanto prima.
Ha poi continuato:
Inoltre, l’ampio impiego di piccoli pesci senzienti per alimentare animali allevati, in maggioranza pesci, rappresenta un ulteriore argomento a favore di una riduzione della pesca per la produzione di farina e olio di pesce. Sarebbe molto più efficiente – e più rispettoso verso gli animali, le persone e il pianeta – lasciare più pesci in mare e destinare la maggior parte di quelli ancora catturati all’alimentazione umana.
Il rapporto di Compassion in World Farming sostiene che l’acquacoltura sostenibile dovrebbe focalizzarsi su specie più in basso nella catena alimentare per ridurre la dipendenza dalla pesca. Attualmente, l’allevamento intensivo di pesci come salmone e tonno contribuisce alla pressione sulle popolazioni selvatiche, con un impatto negativo sulla sicurezza alimentare e sull’ambiente.
Pensate che, secondo le stime, sono necessari circa 440 pesci per nutrire un singolo salmone allevato mentre circa il 90% dei pesci selvatici utilizzati nei mangimi potrebbe essere destinato direttamente all’alimentazione umana. Insomma, il sistema così com’è oggi è del tutto inefficiente e insostenibile.
Lo studio, il primo a stimare l’entità della pesca e gli impatti sul benessere degli animali derivanti dalle moderne pratiche per catturare i pesci, si aggiunge a un precedente rapporto di Compassion in World Farming, “Rethinking Aquaculture: for people, animals and the planet“, che sollecita un cambiamento radicale verso un’acquacoltura più sostenibile, rispettosa degli animali e dell’ambiente.
La necessità di cambiamento è urgente, considerando che il numero di pesci macellati negli allevamenti a livello globale è aumentato da 61 miliardi nel 2007 a 124 miliardi nel 2019, come rivelato dallo studio precedente. La necessità di adottare pratiche di pesca e allevamento più etiche e sostenibili diventa quindi imperativa per proteggere il benessere degli animali e preservare la salute del nostro Pianeta.
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Fonte: Animal Welfare
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