7 miliardi di pulcini sono ancora tritati vivi ogni anno negli allevamenti intensivi del mondo (e non basta una legge per salvarli)

Miliardi di pulcini maschi continuano a essere trucidati nell'industria avicola. Per i ricercatori, i divieti d'abbattimento non bastano. Le alternative esistono, ma l'intero settore andrebbe ripensato perché non è affatto etico

Vengono tritati vivi o uccisi con il gas a poche ore di vita perché non portano profitto alle aziende. Nemmeno il tempo di guardarsi attorno che una morte crudele li attende. Si stima che sette miliardi di pulcini maschi, ritenuti “inutili”, vengono uccisi ogni anno nel mondo.

La strage dei pulcini maschi nati da galline ovaiole è una delle atrocità previste dalla pollicoltura. Diversi Paesi del mondo, come Germania e Francia, hanno vietato questa pratica, ma un divieto effettivo può rappresentare la soluzione al problema?

No, secondo la professoressa Rebecca Rutt dell’Università di Copenaghen. La docente sostiene che il divieto di abbattimento degli esemplari maschi non sia sufficiente. Ma come mai? Rutt lo ha spiegato chiaramente:

Nei Paesi in cui l’uccisione è stata resa illegale, i pulcini maschi vengono spesso esportati. Finiscono in luoghi dove vengono tenuti in vita nel modo più economico possibile e spesso in pessime condizioni, giusto il tempo per essere macellati legalmente. A quel punto vengono spesso utilizzati per produrre prodotti come alimenti per animali domestici. Quindi, dal punto di vista del benessere degli animali, i divieti non sono una soluzione”

In una pubblicazione scientifica condotta assieme al ricercatore Jostein Jakobsen dell’Università di Oslo, Rebecca Rutt ha esaminato attentamente le alternative presenti proposte all’uccisione di routine dei pulcini maschi, valutandone efficacia e impatti.

Tra queste vi sono le tecniche di ovosessaggio, che consentono di conoscere il sesso del pulcino prima della schiusa delle uova, ma anche le tecnologie di modifica del genoma. A loro avviso, queste alternative sono valide, ma non bastano.

Le soluzioni tecnologiche sono presentate come una vittoria multipla perché gli attori del settore possono risparmiare denaro sull’incubazione e sui costi del lavoro umano. C’è meno energia spesa e, naturalmente, la vita dei pulcini appena nati viene risparmiata. Se considerate singolarmente, sembrano una buona soluzione. Ma allo stesso tempo, tali “soluzioni” servono anche a sostenere un settore che è pieno di problemi etici per i polli che vivono” afferma Rutt.

I due esperti invitano a riflettere sull’industria avicola e su tutte le problematiche legate a questo settore. Moltissime le conosciamo tutti. Pensiamo, ad esempio, alle galline allevate in gabbie microscopiche, ai polli a rapido accrescimento, al sovraffollamento dei capannoni e alle lesioni che gli animali riportano sul loro corpo come hock burns, ferite aperte.

La ricerca ha evidenziato che non pochi agricoltori vorrebbero produrre in modo diverso, ad esempio su scala più piccola e con un ritmo più lento. Eppure la maggior parte oggi non sopravviverebbe economicamente. Tali scelte richiederebbero cambiamenti fondamentali, che devono essere guidati dalla legislazione” conclude Rutt.

Il discorso andrebbe inserito in un contesto più ampio che possa migliorare realmente gli standard di benessere dei polli e le loro condizioni di vita attraverso forme d’allevamento più sostenibili.

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Fonte: Environment and Planning E: Nature and Space

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