La produzione mondiale della pesca e dell’acquacoltura ha fatto registrare un nuovo primato assoluto, con la produzione di animali acquatici dal settore dell’acquacoltura che, per la prima volta, ha superato la pesca di cattura. È quanto emerge dal nuovo rapporto pubblicato dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura
Indice
Per la prima volta nella storia, alleviamo più pesce di quanto ne peschiamo in natura mentre, allo stesso tempo, la pesca eccessiva degli stock ittici selvatici continua ad aumentare e il numero di stock pescati in modo sostenibile si riduce.
È quanto dice l’edizione 2024 del rapporto FAO “The State of World Fisheries and Aquaculture 2024” (Stato della pesca e dell’acquacoltura mondiali – SOFIA) da cui emergono due dati: nel 2022 la produzione ha raggiunto un record globale di 223,2 milioni di tonnellate, di cui l’acquacoltura ne rappresenta attualmente il 51%. Più nello specifico, sono stati prodotti 185,4 milioni di tonnellate di animali acquatici e 37,8 milioni di tonnellate di alghe.
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La FAO plaude agli importanti traguardi raggiunti finora, sottolineando, tuttavia, che sono necessari ulteriori interventi in senso trasformativo e di adattamento per rafforzare l’efficienza, l’inclusività, la resilienza e la sostenibilità dei sistemi alimentari acquatici e consolidarne il ruolo nella lotta all’insicurezza alimentare, nella riduzione della povertà e in una governance sostenibile, ha affermato il Direttore Generale della FAO, QU Dongyu. Ecco perché la FAO si fa promotrice della cosiddetta Trasformazione blu, che consentirà di rispondere a tutti i requisiti di una migliore produzione, una migliore nutrizione, un ambiente migliore e una vita migliore per tutti, senza lasciare indietro nessuno.
L’acquacoltura e i volumi da record
Nel 2022, per la prima volta nella storia, l’acquacoltura ha superato la pesca: secondo i dati, infatti, la produzione mondiale dell’acquacoltura ha raggiunto il volume storico di 130,9 milioni di tonnellate, di cui 94,4 milioni di tonnellate di animali acquatici, che corrisponde al 51% della produzione complessiva di tali beni.
Attualmente, a predominare nel settore dell’acquacoltura è un numero circoscritto di Paesi, dieci dei quali – Cina, Indonesia, India, Vietnam, Bangladesh, Filippine, Repubblica di Corea, Norvegia, Egitto e Cile – hanno prodotto più dell’89,8% del totale.
In tutto questo si colloca proprio la Blue Transformation che ha tre obiettivi: far crescere l’acquacoltura sostenibile del 35% entro il 2030; migliorare la gestione sostenibile della pesca di cattura e sviluppare le catene del valore degli alimenti acquatici.
Ma quanto l’acquacoltura è davvero sostenibile?
Recentemente l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) ha fatto il punto della situazione sugli allevamenti intensivi di pesce e sulla sicurezza delle specie più comunemente consumate nell’Unione europea e nello spazio economico europeo.
Anche se molti dei pesci allevati non mostrano segni di parassiti che possano infettare gli esseri umani, ci sono in ogni caso alcuni allevamenti dove di parassiti ne sono stati riscontrati, come l’Anisakis, che possono rappresentare un rischio per la salute pubblica. Nello specifico, sono stati trovati nei pesci allevati in gabbie aperte al largo o in stagni a flusso continuo. E si parla soprattutto di spigola europea,
tonno rosso dell’Atlantico, merluzzo e tinca.
Ma, e questo lo sappiamo bene, il problema degli allevamenti di pesci non riguarda esclusivamente la sicurezza alimentare, ma anche la loro insostenibilità ambientale ed etica.
Per il 2024 finite le risorse del Mediterraneo
Un grosso problema che si morde la coda, se si considera che con il 58% degli stock ittici sovrapescati, il Mediterraneo è il secondo mare più sovrasfruttato al mondo (contro il 37,7% degli stock ittici sovrasfruttati a livello globale), condizioni acuite dagli altri impatti cui è soggetto l’ecosistema marino, in primo luogo il cambiamento climatico.
La domanda europea di prodotti ittici è troppo alta: ogni cittadino europeo consuma in media circa 24 chili di pesce l’anno, e gli italiani superano la media con i loro 31,21 chili di pesce pro capite l’anno. Le specie più colpite includono il nasello, la sardina, i gamberi (viola e rosa) e la triglia di fango. Questa situazione è ulteriormente aggravata dalla pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata (INN), che mette a rischio gli ecosistemi marini e le economie locali.
La crisi climatica, inoltre, mette a rischio la metà della produzione mondiale di pesce, con gravi conseguenze per le piccole comunità che vivono di pesca. Il riscaldamento degli oceani sta riducendo le popolazioni ittiche, con alcune aree tropicali che potrebbero vedere una diminuzione fino al 40% entro il 2100.
E anche nel nostro mare, infine, il cambiamento climatico sta causando effetti come la tropicalizzazione del mare, con specie autoctone costrette a spostarsi a causa dell’aumento delle temperature e lasciare il posto alle specie invasive (quasi 1.000 nuove specie invasive, di cui 126 specie ittiche, sono entrate nel Mediterraneo, causando riduzioni delle specie autoctone fino al 40% in alcune aree, per motivi di competizione o predazione); i bloom di meduse, provocati da un mix di fattori tra cui l’eutrofizzazione del mare e la riduzione degli stock ittici; la diminuzione della capacità di immagazzinamento della CO2 dovuta alla riduzione delle praterie di posidonia.
QUI il report della FAO e QUI il report del WWF.
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