Tutto quello che c'è da sapere sulla peste suina africana, malattia che potrebbe provocare lo scoppio di una nuova epidemia in Italia
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Dalle origini alle modalità di trasmissione, tutto quello che c’è da sapere sulla peste suina africana, malattia che potrebbe provocare lo scoppio di una nuova epidemia in Italia
Dopo i focolai di aviaria che hanno portato all’abbattimento di migliaia di animali negli allevamenti, il nostro Paese si ritrova a fare i conti con una nuova minaccia: la peste suina africana. Il ritrovamento di alcuni cinghiali morti a seguito della malattia ha spinto il Ministero della Salute e delle Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali ad intervenire vietando la caccia, il trekking, la pesca e la raccolta di funghi e tartufi in oltre 100 comuni piemontesi e liguri. Una misura, che qualcuno considera estrema, per prevenire lo scoppio di un’epidemia. Ma cosa sappiamo finora della peste suina africana? Come si trasmette? E quali sono i rischi di questo virus? Proviamo a fare un po’ di chiarezza in merito.
Peste suina africana: cos’è e come si trasmette
La peste suina africana (PSA), da non confondere con l’influenza suina, è una malattia virale che colpisce i maiali e i cinghiali. È provocata da un virus appartenente al genere Asfivirus che colpisce i suini domestici e selvatici, causando un’elevata mortalità. Uccide infatti quasi il 100% degli esemplari che si ammalano.
Negli animali si manifesta con vari sintomi come febbre, perdita di appetito, debolezza, aborti spontanei ed emorragie interne. La malattia si diffonde direttamente per contatto tra animali infetti oppure attraverso la puntura di vettori (zecche).
Maiali e cinghiali sani di solito solitamente infettati tramite:
- contatto con animali infetti, compreso il contatto tra suini che pascolano all’aperto e cinghiali selvatici;
- ingestione di carni o prodotti a base di carne di animali infetti: scarti di cucina, rifiuti alimentari e carne di cinghiale selvatico infetta (comprese le frattaglie);
- contatto con qualsiasi oggetto contaminato dal virus, come abbigliamento, veicoli e altre attrezzature;
- morsi di zecche infette
In genere la circolazione di animali infetti, i prodotti a base di carne di maiale contaminata e lo smaltimento illegale di carcasse sono le modalità più facili attraverso le quali si diffonde la malattia.
Fortunatamente il virus in questione non si trasmette all’uomo (al contrario dell’H1N1), ma è molto stabile e resta per diverse settimane anche nelle carcasse, esponendo al rischio altri animali. Purtroppo, al momento non esistono né vaccini né cure per la peste suina.
Quando e come è arrivata in Italia
Come indica lo stesso nome, la malattia è originaria nel continente africano. Tuttavia negli anni si è diffusa in molte aree del mondo, tra cui Asia ed Europa, probabilmente attraverso scarti alimentari provenienti dall’Africa.
Come spiega l’EFSA (European Food Safety Authority), dalla Russia e Bielorussia la malattia è arrivata anche sul territorio dell’Unione europea. La Lituania ha segnalato casi di peste suina africana nei cinghiali selvatici per la prima volta a gennaio del 2014. La Polonia le ha fatto seguito a febbraio del 2014 e la Lettonia e l’Estonia a giugno e a settembre dello stesso anno. La malattia ha continuato a diffondersi e, alla fine del 2019, era presente in nove Stati membri dell’UE: Belgio, Bulgaria, Slovacchia, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia e Romania.
Fino all’inizio di quest’anno in Italia la presenza del virus era stata registrata solo in Sardegna a partire dal 1978, sia negli animali domestici allevati allo stato brado o semi-brado, che nei cinghiali. Proprio per questa ragione sul territorio sardo è in atto un Piano di eradicazione con il coinvolgimento delle autorità sanitarie.
Qualche settimana fa, esattamente il 6 gennaio 2022, il Centro di referenza nazionale per le pesti suine dell’Istituto zooprofilattico sperimentale dell’Umbria e delle Marche ha confermato la presenza di un caso di PSA in una carcassa di cinghiale rinvenuta nel Comune di Ovada, in provincia di Alessandria. E poco dopo sono stati segnalati altri decessi, sempre tra Liguria e Piemonte. Non è chiaro esattamente come sia arrivata in queste Regioni, ma è molto probabile che i cacciatori siano stati un veicolo per la diffusione del virus.
“I casi di Peste Suina Africana rilevati in cinghiali morti in Piemonte e Liguria sono la chiara conseguenza dei comportamenti umani, molto probabilmente legati all’interesse dei cacciatori” commenta la LAV (Lega Anti Vivisezione), ricordando che la stessa Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) ha individuato i cacciatori tra i principali possibili diffusori del virus della PSA all’interno degli allevamenti.
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I rischi per cinghiali e maiali d’allevamento
La paura più grande è che adesso la malattia possa diffondersi tra i cinghiali e maiali allevati (timore che ha portato all’ordinanza che vieta la caccia, il trekking, la pesca e la raccolta di funghi e tartufi in varie aree del Piemonte e della Liguria).
Nel 2019 la diffusione della peste suina africana in Cina ha portato all’abbattimento di circa 200 milioni di maiali, macellati in anticipo o morti a causa della malattia. Stiamo parlando di circa il 40% di tutti i suini del Paese, secondo le stime dell’Organizzazione mondiale della sanità animale (OIE) è una stima “ragionevole”. E nel 2020 la cifra di animali uccisi potrebbe essere addirittura superiore.
Il precedente ha messo in allarme tutta la filiera suinicola italiana e non solo. A seguito dei diversi casi di peste suina africana (Psa) riscontrati nei giorni scorsi in alcuni cinghiali tra Piemonte e Liguria, alcuni Paesi, tra cui Svizzera e Kuwait, hanno deciso di sospendere le importazioni di carne e salumi dall’Italia. Una situazione che spaventa gli allevatori italiani, visto che le esportazioni di salumi e carni suine al momento valgono ben 1,7 miliardi di euro.
Se la peste suina iniziasse a diffondersi negli allevamenti, milioni di animali avrebbero pochissime, se non nessuna, chance di sopravvivenza” – sottolineano gli attivisti dell’associazione Essere Animali – Il tutto mentre sono già in corso numerosissimi abbattimenti negli allevamenti avicoli colpiti dall’influenza aviaria. Ancora una volta la loro salute non è per niente considerata. Ma anche la nostra, ancora una volta, potrebbe essere messa a rischio per colpa degli allevamenti intensivi. Come abbiamo già visto infatti, l’eventualità che un virus muti e sviluppi la capacità di infettare l’essere umano non è remota. Vale la pena correre il rischio?
Purtroppo il rischio che possa scoppiare una nuova epidemia c’è e non possiamo ignorarla. Questo ennesimo allarme ci ricorda quanto siano pericolosi gli allevamenti intensivi per gli animali (oltre che per la salute pubblica) e quanto sia urgente rivedere il nostro sistema alimentare, basato sullo sfruttamento e il consumo degli animali.
Fonti: Essere Animali/EFSA
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