Fauna selvatica: riaperta caccia a lupi e cinghiali per salvare le colture. Ma è davvero così?

Dopo aver svolto un’indagine sul rapporto tra fauna selvatica e aziende agricole, la commissione Agricoltura della Camera ha approvato un documento che dà il via libera alla caccia di lupi e cinghiali nel caso in cui questi animali dovessero rappresentare un pericolo per le attività agricole. Un progetto appoggiato naturalmente dalla Coldiretti, ma avversato fortemente da tutte le associazioni ambientaliste, come WWF, Legambiente, Enpa e LAV.

Dopo aver svolto un’indagine sul rapporto tra fauna selvatica e aziende agricole, la commissione Agricoltura della Camera ha approvato un documento che dà il via libera alla caccia di lupi e cinghiali nel caso in cui questi animali dovessero rappresentare un pericolo per le attività agricole. Un progetto appoggiato naturalmente dalla Coldiretti, ma avversato fortemente da tutte le associazioni ambientaliste, come WWF, Legambiente, Enpa e LAV.

A difendere la decisione a favore della caccia ai lupi e ai cinghiali è Oliverio Nicodemo, capogruppo Pd della commissione Agricoltura della Camera: “L’indagine della commissione Agricoltura della Camera sui danni causati dalla fauna selvatica alle aziende agricole – ha detto – è un buon risultato che non ha nulla a che vedere, come riportato oggi da un autorevole quotidiano, con l’abbattimento indiscriminato dei lupi. Il documento parlamentare -frutto di un’analisi attenta e precisa che si e’ avvalsa delle audizioni di numerosi rappresentanti delle principali associazioni ambientaliste, venatorie e agricole e degli enti locali- fa riferimento al problema dell’aumento dei cinghiali che provocano danni all’agricoltura, al paesaggio e alle stesse persone”.

Dichiarazioni che però non convincono le associazioni ambientaliste, che subito hanno redatto una lettera aperta destinata proprio alla Commissione agricoltura, affinché prenda in esame la reale situazione e tuteli le colture nel rispetto della convivenza uomo-animale.

Ancora una volta, ignorando dati scientifici, anni di studi e progetti concreti che dimostrano come la convivenza tra uomo e predatore sia possibile, si usa il lupo come il diavolo cattivo. – ha scritto Stefano Leoni, presidente del WWF Italia, nella lettera – Ma è veramente colpa del lupo se la pastorizia è in crisi o se l’allevamento non è più redditizio? È colpa del lupo la crisi profonda della montagna?”.

Insomma, secondo il WWF se l’agricoltura è in crisi non è certo colpa dei cinghiali, ma nella scarsa iniziativa della categoria e nell’incapacità di rinnovarsi.

Dietro allo spauracchio del lupo cattivo – ha continuato Leoni – si nascondono una maldestra politica agricola e le difficoltà di una attività agro-silvo-pastorale poco competitiva, che solo nell’innovazione, nella valorizzazione della filiera corta e nella qualità può cercare un suo riscatto.
La risposta più efficace alle difficoltà segnalate dal mondo agricolo rispetto alla fauna selvatica sarà nella capacità di utilizzare nel modo più opportuno le risorse che la nuova Politica Agricola Comunitaria (PAC), oggi in discussione, renderà disponibili per la conservazione della biodiversità
”.

La PAC prevista per il periodo che va dal 2014 al 2020 conferma infatti la priorità della conservazione delle specie e degli ambienti di valore naturale e per questo ha stanziato più di 1 miliardo e 200 milioni di euro proprio per l’agricoltura e la zootecnia italiana.
Ma c’è di più, perché La Comunità Europea, in questa nuova politica, ha esplicitamente chiesto di difendere – oltre alle colture – anche il lupo.

Pertanto, come conferma Leoni, i dati raccolti dalla Commissione agricoltura destano molto dubbi sulla loro attendibilità, mentre sconcertano le intenzioni dell’assessore piemontese Sacchetto, il quale ha dichiarato senza tentennamenti che il lupo è nemico della pastorizia e va quindi abbattuto.

Il lupo non rappresenta un problema, – ha detto Antonio Nicoletti, responsabile nazionale Aree Protette e Biodiversità di Legambiente – perché esistono modalità di gestione che possono essere rimodulate sulle caratteristiche territoriali di ciascun’area interessata dalla sua presenza, come ben dimostra il progetto europeo LIFE Wolfnet. Sarebbe più opportuno concentrare gli sforzi nello sviluppo e nell‘implementazione di modelli standard per la protezione e gestione della specie, al fine di migliorarne lo stato di conservazione. Molto spesso i fenomeni di uccisone dei capi di bestiame non sono direttamente imputabili al lupo. Si stanno cavalcando ataviche paure, che alimentandosi di scarsa conoscenza scientifica e di una non corretta informazione sull’ecologia del lupo, rischiano di acuire i conflitti tra questa importante specie protetta e la zootecnia. Occorre, invece, diffondere meglio la sua conoscenza per rendere le popolazioni consapevoli della necessità di proteggerlo e di imparare una convivenza sostenibile.
Ci stupisce – ha continuato il responsabile Aree protette e biodiversità di Legambiente – che la Regione Piemonte abbia dimenticato l’ottimo lavoro svolto da università e istituti di ricerca sul territorio piemontese in merito alle criticità e alle prospettive del rapporto tra le attività antropiche e il lupo, i cui comportamenti predatori sono essenziali per il mantenimento degli equilibri ecologici degli ambienti nei quali vive
”.

Gli fa eco la LAV: “Passano gli anni ma non cambia la vecchia abitudine di far ricadere le responsabilità della cattiva gestione del territorio sugli animali selvatici – ha fatto sapere Massimo Vitturi, responsabile LAV settore Caccia e Fauna selvatica – ma il sistema utilizzato per valutare i danni causati dagli animali selvatici è fuorviante. La variazione annuale, e quindi l’eventuale incremento dei danni, infatti, viene accertata unicamente sulla base dei contributi regionali versati per rifondere i danni patiti dagli agricoltori. È chiaro quindi che se l’incremento della presenza dei cinghiali sul nostro territorio è responsabilità dei cacciatori, anche la crescita dei danni prodotti all’agricoltura è da imputare agli stessi cacciatori. – ha aggiunto Vitturi – Deduzione che viene ulteriormente rafforzata dal fatto che quasi il 15% dei danni imputabili alla fauna selvatica pagati dalle amministrazioni a livello nazionale, è dovuto alle lepri ed ai fagiani, animali allevati al solo scopo di essere liberati in campagna durante la stagione venatoria, per fare sfogare la passione sanguinaria dei cacciatori”.

Da tempo – ha aggiunto l’Enpaabbiamo indicato, anche al Parlamento, quelli che sono i punti fondamentali della questione: evitare ogni commistione tra attività venatoria e “controllo” degli animali selvatici; applicare la legge nazionale in vigore, la 157 del 1992, che reca prioritariamente la necessità dell’adozione di metodi ecologici come vuole l’Europa; affrontare la questione dei cani rinselvatichiti, vittime di crudele abbandono e alla disperata ricerca di cibo; velocizzare i risarcimenti. Ma, soprattutto e in primo luogo, vietare ogni pratica di ripopolamento, in particolare dei cinghiali, animali prolifici e di grandi dimensioni, importati qualche decennio fa dall’estero perché ghiotti esemplari da carniere.

Chiediamo ai parlamentari un po’ di coraggio – ha detto in conclusione l’Enpa -. Il coraggio di saper scontentare, vietando i ripopolamenti, quella parte di mondo venatorio che ancora oggi impone la liberazione dei cinghiali e degli altri animali di allevamento. Questa è una misura di prevenzione prioritaria che dobbiamo agli agricoltori e al loro lavoro, ma anche all’ambiente e agli animali stessi, allevati per fare da bersaglio alle doppiette”.

Ma il coraggio – a quanto pare – non è affatto una prerogativa dell’attuale classe dirigente…

Verdiana Amorosi

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