L'uso dei farmaci nell'acquacoltura deve essere rivisto per il bene dell'ambiente e della salute umana: le richieste dell'Ema all'Ue
Nel giro di un ventennio la produzione globale di pesce d’allevamento è più che triplicata. Ed entro quest’anno potrebbe arrivare a superare la pesca in mare aperto. Ma l’acquacoltura davvero più sostenibile come evidenziato da tanti? A quanto pare no, o almeno non per il momento, e il problema principale è dato proprio dall’uso di certi farmaci impiegati nel settore che rappresentano una minaccia non indifferente per gli ecosistemi marini e non solo. E possono provocare danni al pari di quelli causati dai pesticidi.
Per preservare mari e oceani dall’uso scriteriato di certi farmaci inadeguati, il Gruppo di lavoro per la valutazione del rischio ambientale (organismo dell’Ema) si è rivolto all’Unione europea, sottolineando la necessità di adottare adeguate misure di tutela dell’ambiente e della salute umana.
Gli effetti dell’utilizzo dei farmaci in acquacoltura sull’ambiente rappresentano un serio problema” – spiega Sara Villa, ricercatrice presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca. – C’è bisogno di una maggiore presa di coscienza su questo aspetto, così com’è avvenuto nel recente passato per l’utilizzo di pesticidi in agricoltura. Il nostro gruppo è stato chiamato a fornire delle indicazioni operative, su richiesta dell’Unione europea all’Ema. L’esame dell’attuale scenario e del quadro normativo di riferimento ci ha consentito di dare delle indicazioni affinché nelle linee guida future sia presa in considerazione l’applicazione di misure di mitigazione del rischio per la riduzione dell’esposizione ambientale dei farmaci veterinari a livello di singola azienda di acquacoltura.
Le indicazioni sono confluite in un dettagliato documento pubblicato sulla rivista “Environmental Sciences Europe”.
L’attuale quadro legislativo (vale a dire la direttiva 2001/82/CE [ 41 ] e, dal 28 gennaio 2022, il regolamento [UE] 2019/6 [VMP-Reg; 42 ] e i relativi documenti di orientamento normativo) che disciplinano l’autorizzazione dei farmaci veterinari nell’Unione europea non fornisce istruzioni chiare su come eseguire una valutazione del rischio ambientale per i farmaci destinati all’uso in alcuni impianti di acquacoltura – spiegano gli studiosi – Il numero di farmaci veterinari disponibili per l’uso in acquacoltura è estremamente basso, con conseguenti importanti lacune terapeutiche per diverse malattie comuni nelle specie acquatiche (ad es. infezioni batteriche e virali o infestazioni parassitarie). Ciò a sua volta riduce significativamente il benessere degli animali e può anche rappresentare un rischio per la sicurezza alimentare e la salute pubblica. Fino al 1° luglio 2020, solo 286 farmaci veterinari (314 se si considera il Regno Unito) sono stati autorizzati per lo più a livello nazionale nell’area UE/SEE per l’uso in pesci allevati in cattività, compresi i pesci ornamentali. Circa la metà di questi prodotti è rappresentata da vaccini, mentre l’altra metà comprende principalmente antibiotici (29%) e, in misura molto minore, prodotti come sedativi/anestetici, ormoni o antiparassitari. Un altro fattore che complica la questione è che molti dei suddetti prodotti contengono gli stessi principi attivi, il che non solo limita le opzioni terapeutiche disponibili per i pesci, ma aumenta anche la probabilità di sviluppo di resistenza contro molti di questi principi attivi.
Le richieste dell’Ema all’Unione europea
Uno dei problemi principali è che una quantità pari fino a tre quarti della dose di farmaco utilizzata in acquacoltura rischia di finire nell’ambiente, rappresentando una minaccia per la flora e la fauna selvatiche che si trovano nelle vicinanze degli allevamenti intensivi di pesce. E non è facile prevedere con quali effetti perché i medicinali specifici approvati dall’Ema sono pochi e vengono spesso sopperiti con farmaci veterinari approvati per le specie terrestri. Inoltre, la fauna selvatica (comprese le specie destinate al consumo umano come pesci e crostacei) può essere influenzata negativamente dall’immissione dai residui farmaceutici e potrebbero sviluppare anche fenomeni di antibiotico-resistenza.
Infine, un altro aspetto da tenere in considerazione è quello che riguarda fanghi di scarto degli impianti di acquacoltura, per i quali è prevista la possibilità di impiego sui terreni agricoli.
Alla luce di tutte queste lacune, il Gruppo di lavoro per la valutazione del rischio ambientale chiede innanzitutto un’armonizzazione della disciplina europea e di quelle degli Stati membri per la Valutazione del rischio ambientale dei farmaci veterinari utilizzati in acquacoltura. Allo stesso tempo, gli esperti sollecitano una semplificazione delle procedure attraverso l’utilizzo di modelli matematici avanzati. Tutto ciò dovrebbe facilitare anche il processo di approvazione finale di tali farmaci. Inoltre, sottolineano l’urgenza di prevedere misure di mitigazione del rischio che tengano in considerazione sia la tipologia dell’impianto che la sua collocazione perché “non è sufficiente distinguere tra quelli di acqua dolce e quelli collocati in ambiente marino, ma va considerato che la portata degli effetti sull’ecosistema circostante è determinata anche dalle condizioni ambientali specifiche come la temperatura e la salinità dell’acqua”.
Infine, gli esperti mettono l’accento sulla necessitò di un’adeguata formazione degli operatori degli impianti per contenere il rischio di un utilizzo inappropriato dei medicinali anche perché, a differenza di quanto avviene in caso di non corretto uso dei prodotti fitosanitari in agricoltura, il mancato rispetto delle prescrizioni di impiego attualmente non è sanzionato.
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Fonte: Environmental Sciences Europe/Università degli Studi Milano-Bicocca
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