L'Ungheria ha annunciato lo stop all'esportazione del mais per combattere l'aumento dei prezzi, diretta conseguenza della guerra in Ucraina. Questa decisione metterà a rischio 1 allevamento su 4 in Italia
Oltre alla devastazione della guerra, il conflitto russo-ucraino sta generando una serie di reazioni a catena che mettono a rischio l’approvvigionamento di materie prime anche nel nostro Paese. L’Ungheria ha deciso di interrompere l’esportazione di mais e questo avrà serie ripercussioni sugli allevamenti italiani.
Non si tratta solo del mais, in realtà, l’Ungheria per controllare l’aumento dei prezzi ha deciso di ostacolare anche le esportazioni di altri cereali (come segale, orzo, avena) oltre che di semi di soia e girasole.
Ma il problema, almeno per l’Italia, riguarda in particolare il mais. A rischio, secondo la Coldiretti, 1 allevamento su 4, in quanto il mais, utilizzato per i mangimi, proviene principalmente da due fornitori: Ucraina e Ungheria.
Per farci un’idea della gravità della situazione basta pensare che nel 2021 sono arrivati in Italia dall’Ungheria 1,6 miliardi di chili di mais e altri 0,65 miliardi di chili dall’Ucraina, che complessivamente (per un totale di 2,25 miliardi di chili) rappresentano la metà delle importazioni totali del nostro Paese.
Come ha dichiarato il Presidente della Coldiretti, Ettore Prandini:
Siamo di fronte ad una nuova fase della crisi, dopo l’impennata dei prezzi arriva il rischio concreto di non riuscire a garantire l’alimentazione del bestiame. Da salvare ci sono tra l’altro 8,5 milioni di maiali, 6,4 milioni di bovini e oltre 6 milioni di pecore.
E salvare è la parola corretta in quanto effettivamente, se non si trova un piano B, a rischio ci sono proprio gli animali negli allevamenti che potrebbero essere abbattuti.
A denunciare questo risvolto della questione è Assalzoo, associazione nazionale dei produttori di alimenti zootecnici. Il presidente di Assalzoo, Michele Liverini, in proposito ha dichiarato:
Ad oggi la disponibilità di materie prime agricole per la produzione mangimistica è limitata nella maggior parte dei casi a 20 giorni, massimo un mese. Se non si attivano canali di approvvigionamento alternativo, sarà inevitabile il blocco della produzione mangimistica, con conseguenze devastanti per gli allevamenti, con la necessità di abbattimento degli animali presenti nelle stalle e il crollo delle produzioni alimentari di origine animale, come carni bovine, suine e avicole, latte, burro e formaggi, uova e pesce.
Ma quali potrebbero essere questi canali alternativi? Al momento l’unica alternativa praticabile, scrive l’associazione dei produttori di alimenti zootecnici, è quella di rivolgersi al mercato americano, in particolare ad Usa e Argentina, ma vi sono molti problemi a riguardo sia logistici (ci vuole tempo per far arrivare le navi) che qualitativi.
Leggi anche: Guerra in Ucraina, lo stato di emergenza consente davvero l’entrata in Italia di mais Ogm e con pesticidi?
Il problema dell’Italia è ormai più che evidente e sotto gli occhi di tutti, segnalano le associazioni. Coldiretti scrive:
L’Italia è costretta ad importare materie prime agricole a causa dei bassi compensi riconosciuti dalle industrie agli agricoltori che sono stati costretti a ridurre di quasi 1/3 la produzione nazionale di mais negli ultimi 10 anni durante i quali è scomparso anche un campo di grano su cinque con la perdita di quasi mezzo milione di ettari coltivati perché molte industrie per miopia hanno preferito continuare ad acquistare per anni in modo speculativo sul mercato mondiale, approfittando dei bassi prezzi degli ultimi decenni, anziché garantirsi gli approvvigionamenti con prodotto nazionale.
“Un errore imperdonabile che è possibile recuperare” afferma il presidente Prandini. Ma non certo in tempi rapidi per affrontare questa imminente crisi, aggiungiamo noi. Comunque è questa la strada anche secondo Assalzoo:
Per l’alimentazione animale occorrono circa 9 milioni di tonnellate di mais a fronte di una produzione italiana di scarsi 6 milioni di tonnellate. È necessario coltivare in Italia almeno 300mila ettari in più per soddisfare la domanda della zootecnia nazionale.
Il problema della dipendenza dalle importazioni, però, non è solo italiano e la Commissione europea sta valutando di utilizzare, per il settore delle carni suine, la riserva di crisi della Politica agricola comune (PAC), che ammonta a 450 milioni di euro.
Tra l’altro la situazione è seria, non solo considerando quanto potrebbe avvenire negli allevamenti a causa della scarsità di mais. Un’altra questione scottante è quella del grano: lo stop delle esportazioni dall’Ungheria apre degli scenari imprevedibili. Leggi anche: Grano, scenari imprevedibili con lo stop delle esportazioni dall’Ungheria (e forse anche dalla Bulgaria)
Fonte: Coldiretti / Assalzoo
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