I cambiamenti climatici potrebbero portare in Europa anche la febbre gialla entro il 2030

Cambia il clima, le zanzare si adattano e potrebbero portare qui anche la febbre gialla. Nel 2030 gli insetti potrebbero diventare comuni in Europa

Cambia il clima, le zanzare si adattano e potrebbero portare qui anche la febbre gialla, oltre a dengue e zika. Nel 2030 infatti, l’insetto responsabile, Aedes aegypti, potrebbe diventare in Europa molto comune. L’allarme è arrivato da un gruppo di ricerca dell’Imperial College di Londra e dell’Università di Tel Aviv.

Lo studio è stato effettuato tramite simulazioni che mostrano come l’aumento delle temperature e il cambiamento dei modelli di precipitazione siano responsabili dell’aumento del numero di aree in cui le zanzare Aedes aegypti possono vivere, diffondendo potenzialmente malattie in zone molto diverse da quelle dove attualmente sono endemiche.

I dati mostrano in particolare che gli insetti accelereranno la loro invasione di alcune zone della Cina, del Nord America e di paesi europei tra cui Spagna, Portogallo, Grecia e Turchia nei prossimi decenni.

“Questo lavoro aiuta a rivelare i potenziali costi a lungo termine della mancata riduzione dei gas serra  – spiega Kris Murray, che ha guidato lo studio – I nostri risultati mostrano che questa specie di zanzara ha probabilmente già beneficiato dei recenti cambiamenti climatici in gran parte del mondo. Ma questo adattamento sta accelerando. Prevediamo però anche che significativi tagli delle emissioni possono rallentarlo”.

zanzara febbre gialla in europa

©Imperial College London

La zanzara Aedes aegypti è responsabile della trasmissione di molte malattie, tra cui dengue, zika, febbre gialla e chikungunya, alcune delle quali particolarmente gravi e sta causando epidemie diffuse e ripetute. E in questo periodo di lockdown che limita molto l’azione delle imprese di disinfestazione, non mancano segnalazioni preoccupanti in alcune zone tropicali.

La regione brasiliana Paranoá, dove il fenomeno sembra particolarmente acuto, ha nominato recentemente una task force dedicata proprio al contenimento dell’insetto. Vista la situazione, 125 agenti di sorveglianza ambientale e 15 militari dei vigili del fuoco hanno ispezionato comunque le case e istruito i residenti su come prevenirne la proliferazione.

“Dobbiamo continuare a combattere Covid-19, ma dobbiamo anche ricordare la dengue per ridurre la sua incidenza nella regione – ha dichiarato ad Agencia Brasilia Edgar Rodrigues, direttore della Vigilância Ambiental – Anche questo è un importante problema di salute pubblica”.

Come riportano i giornali brasiliani, tra il 15 marzo e il 2 maggio sono stati registrati 11.292 casi di dengue nella Nazione e 3.242 di chikungunya nel solo stato dell’Espirito Santo. Cosa ancora più preoccupante, il 90% dei focolai di riproduzione della zanzara sono al chiuso. E il lockdown non fa che peggiorare le cose.

Problema che non ci riguarda? Affatto, allerta il nuovo studio: gli scenari mostrano infatti che la facilità di adattamento dell’insetto ai nostri climi che, purtroppo, cambiano in suo favore, potrebbe aumentare al 3,2% per decennio con una situazione di controllo delle emissioni e al 4,4% per decennio nel caso di minore attenzione.

Senza un rigido controllo dei gas serra, dunque, l’invasione della zanzara potrebbe incrementare di sei chilometri all’anno entro il 2050 in Cina e Usa, rappresentando un avanzamento 3,5 volte più veloce rispetto ai dati storici. In Europa, si prevede invece che alcune zone di Spagna, Portogallo, Grecia e Turchia sperimenteranno l’adattamento dell’insetto già entro il 2030.

Allarmismo ingiustificato? Purtroppo no, anche perché dei casi di dengue in Italia ci sono stati già nel 2015, a Bologna, quando fu attivata un’immediata profilassi che fortunatamente ha arginato il problema. Il virus era stato confermato su un cittadino di ritorno da un viaggio, ma si ritenne comunque necessaria una disinfestazione e la rimozione di eventuali focolai larvali nelle aree private. Il recente lavoro, inoltre, conferma alcuni studi precedenti.

L’ipotesi, quindi, sembra piuttosto probabile.

I risultati sono pubblicati su Nature Communications.

Fonti di riferimento: Imperial College London / Agencia Brasilia / Folha Vitòria / Nature Communications

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