Mentre il governo giapponese annuncia ufficialmente lo smantellamento della centrale di Fukushima Daiichi e i livelli di iodio radioattivo nel mare continuano a salire, un'indagine Reuters rivela che il Giappone e la Tepco avrebbero potuto fare qualcosa per evitare questo disastro. In particolare, è emerso che in uno studio del 2007 il rischio di uno tsunami nei successivi 50 anni veniva dato per certo. L’allarme era, quindi, già stato lanciato.
Mentre il governo giapponese annuncia ufficialmente lo e i livelli di continuano a salire, un’indagine Reuters rivela che il Giappone e la Tepco avrebbero potuto fare qualcosa per evitare questo disastro. In particolare, è emerso che in uno studio del 2007 il rischio di uno tsunami nei successivi 50 anni veniva dato per certo. L’allarme era, quindi, già stato lanciato.
Un pull di esperti della TEPCO, guidati dall’ex ingegnere addetto alla sicurezza Toshiaki Sakai, avevano presentato, nel corso di una conferenza di ingegneria nucleare tenutasi a Miami nel Luglio 2007, i risultati delle loro indagini, durate diversi anni, sugli impianti nucleari giapponesi.
Secondo l’ingegnere Sakai, nella più rosea delle ipotesi, il rischio di un’onda superiore ai sei metri (e l’onda dell’11/03 ne misurava ben 14!) sarebbe stato del 10%. Nel caso in cui questo evento si fosse verificato, le misure adottate negli impianti giapponesi non sarebbero state evidentemente sufficienti: «Il fenomeno tsunami è così ignoto – si legge nel report- che c’è la possibilità di un’onda che superi in altezza la soglia di sicurezza del progetto iniziale».
Questo studio sulla sicurezza degli impianti giapponesi fu avviato dopo la tragedia di Sumatra, colpita da un violento tsunami nel 2004, che scosse le certezze degli ingegneri addetti alla sicurezza. Oltre che a radere al suolo le coste dell’Indonesia, questo tsunami aveva anche danneggiato un impianto nucleare nel sud dell’India. Proprio per questo, molti Paesi decisero di adottare una nuova concezione in materia di sicurezza nucleare basata sulla ‘peggiore delle ipotesi’. Un nuovo approccio del risk management che, sfortunatamente, ha tardato ad affermarsi in Giappone, dove niente è stato fatto.
Il Vice Presidente della TEPCO Sakae Muto ha affermato che le misure di sicurezza dell’impianto di Fukushima erano state calibrate sui dati allora a disposizione e che quanto accaduto non era prevedibile. Ma la Reuters fa notare che nel 1960, una decina di anni prima della realizzazione di Fukushima, le coste del Giappone furono colpite da un’onda alta più di sei metri, generata da un terremoto di magnitudo 9.5 verificatosi in Cile. Come a dire, Cuiusvis hominis est errare: nullius nisi insipientis, in errore perseverare.
Se le conseguenze a lungo termine sul Giappone e sui giapponesi restano ancora ignote, il quadro che emerge da queste recenti rivelazioni rende tutta questa vicenda ancor più inquietante e sconcertante, e mai avremmo pensato che ciò fosse possibile.
Il seme del dubbio sul progetto iniziale e sulle misure adottate dalle autorità governative e dai responsabili della Tokyo Electric è stato piantato. Ora restiamo inermi ad aspettare che questa infinita soap di verità sottaciute o ignorate, scritta alle spalle dei giapponesi e di noi tutti, possa ancora sbigottirci.
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