Il decreto sulle liberalizzazioni consentirà alle società petrolifere di svolgere l’attività di perforazione a 5 miglia dalle coste, e non più a 12 miglia, oltre a ridurre il numero delle aree protette dove non è consentito fare ricerca e a prevedere maggiori investimenti per le infrastrutture estrattive. Questa l’indiscrezione circolata ieri sui provvedimenti contenuti nell'atteso provvedimento sullo sviluppo. Si tratta di tre articoli, ribattezzati velocemente “trivella facile”, che hanno fatto infuriare gli ambientalisti.
Il decreto sulle liberalizzazioni consentirà alle società petrolifere di svolgere l’attività di perforazione a 5 miglia dalle coste, e non più a 12 miglia, oltre a ridurre il numero delle aree protette dove non è consentito fare ricerca e a prevedere maggiori investimenti per le infrastrutture estrattive. Questa l’indiscrezione circolata ieri sui provvedimenti contenuti nell’atteso provvedimento sullo sviluppo. Si tratta di tre articoli, ribattezzati velocemente “trivella facile”, che hanno fatto infuriare gli ambientalisti.
“La Costa Concordia spiaggiata rischia di immergersi e inondare l‘Arcipelago Toscano di carburante. La situazione è grave e il rischio inquinamento è concreto -dice Legambiente in una nota- eppure, nel pieno dell’emergenza, scopriamo che la bozza delle liberalizzazioni proposte dal governo prevede tre articoli mirati a concedere la possibilità di trivellare gas e petrolio in aree preziosissime del nostro Paese”. Per questo, spiega l’associazione del cigno verde, pur di “ottenere una buona valutazione da Standard & Poor’s e far alzare il rating il nuovo governo sceglie la via più antica e obsoleta: quella di svendere il paese ai petrolieri. Alla faccia della green economy”.
Dura anche la presa di posizione del deputato del Pd Ermete Realacci: “Mi sembra che le agenzie di rating stiano già facendo abbastanza danni. Il via libera alle trivellazioni facili contenuto nelle pieghe del decreto liberalizzazioni è una vera e propria follia. Se poi, come sembra, tale decisione sia stata indotta al fine di alzare la valutazione dell’Italia da parte delle agenzie di rating, la follia raddoppia”. Angelo Bonelli dei Verdi, poi, ha parlato di “vergogna senza precedenti”: “ci auguriamo –dice Bonelli- che il governo smentisca immediatamente le norme che prevedono la libertà di trivellare per la ricerca di petrolio in Italia, perché le bozze degli articoli 20-21e 22 rappresentano la svendita del territorio italiano alle lobby del petrolio che potranno trivellare, con un trucchetto legislativo, anche nelle aree marine protette”.
Un coro di critiche che ha spinto il ministero dell’Ambiente a smentire ufficialmente le indiscrezioni con una nota: “le norme sulle trivellazioni in mare per le ricerche petrolifere, che sarebbero inserite nel cosiddetto ‘decreto liberalizzazioni’, sono prive di fondamento”, fa sapere il Ministero dell’Ambiente. “A questo proposito il Ministro dell’Ambiente fa presente che la protezione del mare e delle coste è la priorità del nostro lavoro di queste ore”, conclude una nota del dicastero.
“Approviamo pienamente la decisione del ministro all’ambiente Corrado Clini di non permettere le trivellazioni a meno di 12 miglia dalle coste. Il petrolio rappresenta un pericolo micidiale per tutto il mar Mediterraneo”, dichiara Vincenzo Pepe presidente nazionale di FareAmbiente, il Movimento ecologista europeo. “FareAmbiente – continua Pepe – resterà vigile su tutti i provvedimenti che riguardano tematiche ambientali, comprese quelle interessate dalle liberalizzazioni.
Il blocco delle perforazioni petrolifere in Sicilia
E proprio mentre le indiscrezioni circolavano e la polemica montava, ieri la commissione Via del ministero dell’Ambiente ha dato parere negativo alle ambizioni petrolifere dell’Audax Energy, compagnia battente bandiera australiana, che aveva messo gli occhi sui fondali siciliani. E ciò che c’è ancor di meglio è che il Permesso di ricerca di idrocarburi “d 364 C.R-.AX” è stata rifiutato con una motivazione ecologica: “un ambiente fragile e indispensabile alla diversità biologica e alla produttività dell’intero Canale di Sicilia“. Quest’area “è incompatibile con ogni forma di ricerca sismica e di trivellazioni“, dice la Commissione, chiudendo definitivamente la porta a qualsiasi richiesta di trivellazione futura nelle acque dei banchi tra Pantelleria e Favignana, considerati dall’Onu un patrimonio della biodiversità del Mediterraneo. E accogliendo in pieno le istanze dei comitati e delle associazioni che hanno difeso l’incredibile diversità e importanza biologica dei banchi del Canale di Sicilia, da AGCI-AGRITAL, ad Apnea Pantelleria, fino alla CGIL. E ancora Comitato Stoppa La Piattaforma, Greenpeace, L’Altra Sciacca, Lega Navale Italiana, Italia Nostra e Procuratori dei Cittadini.
Tutti esprimono la propria soddisfazione per la valutazione negativa: “questo mare deve essere difeso da politiche intese a tutelare e ripristinare l’ecosistema e le popolazioni ittiche, non a sfruttare giacimenti di petrolio di cui possiamo fare a meno migliorando l’efficienza dei veicoli“. Lo stop alle trivelle a Pantelleria “è il risultato di un lavoro congiunto di portatori di interessi e competenze diverse uniti nella difesa del mare: questo modello deve essere allargato all’intera realtà nazionale con la creazione di una Rete Nazionale contro le esplorazioni di idrocarburi offshore”, concludono comitati e associazioni.
No trivella Day: stop alla trivellazione selvaggia dei nostri mari
Questa vittoria, per quanto importante, è solo un primo passo. Per contrastare i forti interessi petroliferi è necessario un lavoro congiunto che ha come obiettivo la salvaguardia del nostro mare, del nostro clima e del nostro futuro. Per questo, proprio in questi giorni Legambiente si sta mobilitando con una manifestazione nazionale, il “no trivella day”, prevista sabato 4 a Monopoli, in Puglia, una delle regioni dove si sono concentrati gli appetiti delle multinazionali del petrolio. Perché purtroppo la corsa all’oro nero non si ferma. Come conferma il dossier del Wwf “Milioni di regali – Italia:Far West delle trivelle”.
Basta pensare che al 2011 sono 82 le istanze di permesso di ricerca e i permessi di ricerca di idrocarburi liquidi o gassosi in mare (74dei quali nelle regioni del Centro-Sud, 39 nella sola Sicilia) presentati al Ministero dello Sviluppo economico. Sono invece 204 le istanze di ricerca ei permessi di ricerca in terra (89 al Nord pari al 44%, 61 al Sud, pari al30% e 54 nel Centro Italia, pari al 26%; tra cui spiccano nelle diverse aree geografiche: le 52 tra istanze e permessi presentati in Emilia Romagna che vanta il primato del Nord, i 22 in Abruzzo, prima nel Centro, e i 27 nella già colonizzata Basilicata, che ha il primato del Mezzogiorno, seguita dalla Sicilia, con 16).
“Non possiamo dissipare così il nostro patrimonio ambientale e la nostra salute, eppure le nostre leggi fanno dell’Italia uno dei Paesi in cui vigono le regole più vantaggiose per le aziende che ricercano ed estraggono gli idrocarburi”, denuncia l’associazione. È solo con regole rigorose in campo ambientale che facciano valere il principio di precauzione e una modifica sostanziale del regime fiscale ed economico del settore, che rispetti le regole di mercato della leale concorrenza, che l’Italia cesserà di essere un Far West per le trivelle. Intanto, oggi il Governo Monti si accinge a varare il decreto. Staremo a vedere.
Roberta Ragni