Referendum contro le trivelle: la Transunion Petroleum rende nota la sua rinuncia a due istanze di ricerca di gas e petrolio in mare. Timore di probabile sconfitta referendaria?
: la Transunion Petroleum rende nota la sua rinuncia a due istanze di ricerca di gas e petrolio in mare. In questo modo, la società petrolifera non darà corso al procedimento autorizzativo dopo il parziale rigetto, da parte del Ministero dello Sviluppo Economico, delle istanze di ricerca di idrocarburi nel Golfo di Taranto e nel Canale di Sicilia.
“È questa la dimostrazione che la campagna contro le trivellazioni sta sortendo l’effetto sperato, anche se i comitati pro-Triv vogliono farci credere che la decisione non sia collegata al referendum del 17 aprile. Ma la vittoria è a portata di mano! Andiamo avanti, più forti di prima”, commenta così il Coordinamento Nazionale No Triv, che coordina tutti i movimenti notriv territoriali.
Sul Bollettino Ufficiale degli Idrocarburi e delle Georisorse (Buig) si legge infatti:
“La società non ha provveduto a comunicare il proprio interessamento al prosieguo del procedimento amministrativo, nei modi e nei termini indicati dalla comunicazione di “Rigetto parziale e riperimetrazione” del 29 gennaio 2016 n. 2481”.
Già qualche settimana fa la Petroceltic e la Shell, che vantavano l’una un permesso di ricerca al largo delle Isole Tremiti e l’altra due istanze nel Golfo di Taranto, hanno rinunciato ai nostri mari.
“La riperimetrazione decretata nel gennaio scorso dal MISE è stata la conseguenza dell’entrata in vigore della Legge di Stabilità 2016 in cui il Governo era stato costretto, sotto la minaccia del referendum, a inserire una norma per il ripristino del divieto di nuove attività “petrolifere” nelle zone marine poste a meno di 12 miglia marine dalle linee di costa e dalla aree naturali protette”, afferma Domenico Sampietro, del Coordinamento Nazionale No Triv.
Ora ci si chiede se anche la Transunion dirà, come la Shell, che “la riperimetrazione non c’entra con il referendum”. E allora la domanda sorge spontanea: cosa avrebbe fatto cambiare idea alla società se non una probabile sconfitta referendaria?
Secondo il Coordinamento Nazionale No Triv, insomma, dietro la decisione della Transunion ci sarebbero i soliti “3-4 comitatini” su cui il Governo ha riferito di recente al Parlamento nel corso della presentazione dell’annuale Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza.
Ma il Coordinamento Nazionale No Triv punta su un dato importante: il quorum è a portata di mano. Il 17 aprile bisogno solo votare SI per dire stop alle trivelle.
Nel frattempo continua il lavoro delle associazioni che stanno lottando contro il tempo per informare i cittadini italiani. Il comitato nazionale “Vota SI per fermare le trivelle”, a cui hanno aderito anche greenMe.it e GreenBiz.it, ricorda che le trivelle sono il simbolo tecnologico del PETROLIO, la più vecchia energia fossile causa di inquinamento, dipendenza economica, conflitti e protagonismo delle grandi lobby. La vera posta in gioco di questo Referendum è quella di far esprimere gli italiani sulle scelte energetiche strategiche che deve compiere il nostro Paese per un’economia più giusta, rinnovabile e decarbonizzata. Affermiamo, dunque, la volontà dei cittadini che vorrebbero meno inquinamento e delle migliaia di imprese che stanno investendo sulla sostenibilità ambientale e sociale. Per pochi barili di petrolio non vale certo la pena mettere a rischio il nostro ambiente marino e terrestre ed economie importanti come la pesca e il turismo, vere ricchezze del nostro Paese. Ma intanto, mancano strategia e scelte concrete per realizzare gli obiettivi di riduzione delle emissioni fissati dalla COP21 nel vertice di Parigi per combattere i cambiamenti climatici, in cui si è sancita la volontà di limitare l’aumento del riscaldamento globale a 1,5°C.
Quindi il vero quesito è: Vuoi che l’Italia investa sull’efficienza energetica, sul 100% fonti rinnovabili, sulla ricerca e l’innovazione?
Germana Carillo
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