Il ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, intervenuto alla conferenza preparatoria della Strategia Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile, ha elencato le principali sfide che dovrà affrontare il ministero. Come sottolineato da Cingolani, la transizione ecologica passa anche dalla riduzione del consumo di carne.
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“Chi mangia troppa carne subisce degli impatti sulla salute, allora si dovrebbe diminuire la quantità di proteine animali sostituendole con quelle vegetali. Modificando un modello di dieta aumentando le proteine vegetali avremmo un co-beneficio migliorando la salute pubblica, diminuendo l’uso di acqua e producendo meno CO2“: a dirlo è il neo ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, intervenuto ieri in diretta alla conferenza preparatoria della Strategia Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile 2017-2030.
La transizione ecologica deve passare, quindi, anche per la riduzione del consumo di carne e a sottolinearlo è stato finalmente un ministro.
Come spiega il ministro, “quello della transizione ecologica non è concetto univocamente definito tra gli Stati c’è un tale divide a livello planetario che quello che per noi è transizione per altri potrebbe essere una sfida irraggiungibile, e d’altro canto anche tra i Paesi di aree omogenee i punti di partenza possono essere molto diversi. Di solito il punto di arrivo per noi è definito dai grandi accordi internazionali, ma non basta: è necessario trovare e definire il migliore percorso per arrivare dal punto A al punto B, e la migliore via non è quella lineare”.
Durante l’intervento di ieri, il ministro Cingolani ha elencato i principali punti della sua agenda politica che includono: la lotta ai cambiamenti climatici, la questione del debito ambientale, l’inquinamento, lo sfruttamento delle risorse naturali, le conseguenze della nostra alimentazione sulla biodiversità e l’uso delle tecnologia al servizio dell’ambiente.
Nel discorso di Cingolani, però, non è stato approfondito un tema cruciale per il nostro Paese: quello legato alle energie rinnovabili. Ricordiamo che al Ministero della Transizione Ecologica, sono state trasferite anche le funzioni esercitate dal Ministero dello Sviluppo Economico in materia di politica energetica.
Gli obiettivi al centro dell’agenda del Ministero della Transizione Ecologica
Approccio glocal
“La transizione per la prima volta ci mette di fronte a un approccio che non può essere né globale né locale: si usa in genere il termine glocal, ed è questo l’approccio che bisognerà utilizzare” – spiega Cingolani – “Abbiamo un pianeta diviso tra Stati debitori e Stati creditori, abbiamo un chiarissimo divide dal punto di vista dell’energia, dell’aspettativa di vita, della scolarizzazione, della disponibilità di acqua. La transizione va oltre il concetto consolidato di ecologia, è una transizione globale e antropologica. L’ecologia dobbiamo pensarla non solo dal punto di vista dell’ambiente, ma dobbiamo pensare all’ecologia della mente, della società, cioè a un sistema che si regga in piedi con delle regole armoniche. Quindi: la visione è globale, ma le soluzioni devono essere innestate nel tessuto locale”.
Il debito ambientale
Un’altra sfida cruciale per l’Italia è quella connessa al debito non soltanto economico, ma ambientale.
“L’indicatore principale da tenere ben presente in tutte le scelte politiche e tecniche è che la biocapacità del nostro pianeta tra luglio e agosto sarà terminata: significa che viviamo in un’era di debito ambientale, oltre che economico, ed è spaventoso” – dichiara il ministro – “Siamo tanti, le diseguaglianze sono aumentate e tra luglio e agosto esauriamo la nostra parte di risorse naturali. Viviamo quindi in una società del debito non solo economico, ma anche ambientale, e in altri contesti cognitivo, perché persino l’informazione e la cultura vengono mediati da sistemi talmente veloci che la nostra mente spesso non riesce a metabolizzare le informazioni”.
Cambiamenti climatici
“Le riflessioni per la costruzione di un piano di transizione ecologica sono numerose” – sottolinea Cingolani. – “Pensiamo al climate change: negli ultimi 10 anni ci sono stati 8 degli anni più caldi di sempre, abbiamo un budget di anidride carbonica che equivale a circa 700 giga tonnellate e questo, qualora dovesse essere superato, porterebbe a un aumento di temperatura superiore di 2 gradi centigradi al 2040. Questi dati mostrano che sia l’analisi che le soluzioni non possono essere formulate astraendoci dal contesto complessivo: come Italia, e come Europa, possiamo impegnarci quanto vogliamo ma se qualcuno dall’altra parte del pianeta non fa il suo dovere e non collabora, allora abbiamo poche leve per contrastare il Climate Change. Anche nella lotta ai cambiamenti climatici vige il principio fisico della termodinamica: il danno è veloce ma il recupero è lungo. Significa che se portiamo la temperatura più su di 2 gradi, il sistema ci mette poi secoli per raffreddarsi. Bisogna aver presente che già un aumento della temperatura di un grado e mezzo equivale a un innalzamento del livello dei mari di circa 20 cm. Significa che i nostri figli, non le generazioni future, ma anche quelle attuali, dovranno combattere con città costiere a rischio e con un ecosistema destabilizzato. Da padre, è un pensiero che ho sempre ben presente e che mi preoccupa molto. Non abbiamo molto tempo, siamo a fine partita”.
Inquinamento e qualità dell’aria
Come annunciato dal ministro della Transizione Ecologica, bisogna lavorare concretamente per ridurre il tasso di inquinamento, sempre più preoccupante:
“Abbiamo una grande sfida che è quella dei trasporti sull’elettrificazione, sul trasporto pubblico, sulla riduzione di mezzi privati, su sistemi che ci consentano di avere un’industria forte, di produrre progresso ma che nello stesso tempo sia il più sostenibile possibile. Ci sono sforzi enormi in progress, ma i grandi sistemi industriali sono energivori, quindi è necessario trovare giusto bilancio tra le esigenze di un’economia che genera lavoro e benessere e il fatto che questa economia non debba essere implementata a spese dell’ambiente in cui viviamo. Città, case housing, c’è mezzo pianeta in cui l’impatto principale dell’inquinamento viene vissuto per via dell’housing, di come si cucina, di come si riscalda, e c’è un’altra metà del pianeta in cui è più grande a livello di microparticolato e inquinamento negli spazi aperti, soprattutto i grandi centri urbani. Qui occorre una strategia che da un lato passa da tecnologie innovative, dall’altro pone il grande tema dell’educazione e della consapevolezza da parte di tutti che bisogna cambiare, a partire da noi stessi. L’urbanizzazione è sicuramente una grande opportunità per molte società, ma nello stesso è un generatore di problemi che va controllato”.
Inquinamento chimico
Cingolani è intervenuto anche sulla questione dell’inquinamento chimico, spiegando:
“Viviamo in un’era chemical intensive, già siamo molto sensibili al problema della plastica, materiale geniale che però biodegrada in tempi lunghissimi. Abbiamo trovato persistent organic pollutants sulle superfici dei mari e dei fiumi, ma troviamo rifiuti plastici anche a 10mila metri di profondità. Non solo: occorre fronteggiare emergenze come quelle dei batteri che sono antibiotico resistenti, perché certe industrie hanno riversato nell’ambiente una tale quantità di antibiotici che adesso ci troviamo con dei batteri corazzati che oltre a rappresentare un problema di inquinamento lo diventano anche per la salute pubblica. Plastica, pesticidi, la tecnologia del cibo, e la nanotoxicology. Da pochissimi decenni siamo in grado di produrre dei nanocompositi totalmente artificiali e il nostro sistema immunitario non è progettato per fermarli, vederli, contenuti in molti materiali che utilizziamo, come le vernici: ottimi per raggiungere importanti traguardi dal punto di vista tecnologico ma che nello stesso tempo possono portare a problemi molto gravi e per i quali non abbiamo ancora soluzioni”.
Ciclo del rifiuto
“Ci sono delle cose che stanno avvenendo su scala planetaria che sono molto gravi.” – evidenzia Roberto Cingolani. – Paesi ricchi che esportano enormi quantità di materiale plastico in Paesi che poi li riversano nei fiumi e vanno a finire nei mari: questo ciclo non va bene, il trattamento è inadeguato, il traffico del rifiuto è un problema di natura legale e sociale, sul rifiuto bisognerà fare grandissima attenzione tanto nell’aspetto normativo che in quello scientifico”.
Uso delle risorse naturali
Un altro punto fondamentale su cui si è soffermato il ministro della Transizione Ecologica è quello riguardante lo sfruttamento delle risorse naturali:
“Nel 2017 abbiamo usato 90 miliardi di tonnellate di risorse naturali primarie, questo è un numero molto più alto di 10 anni fa, la crescita economica ha fatto sì che le risorse naturali fossero fortemente impegnate. Pensate al digitale, la digitalizzazione è una tecnologia fantastica se usata in modo intelligente ma anch’essa non è gratis energeticamente: si stima produca circa il 4% della CO2 totale, gli aerei fanno il 2%, il trasporto leggero fa l’8%, quindi il digitale ha un peso specifico consistente. Non occorre dunque sprecare una risorsa che va ben utilizzata e ha a che fare anche con i grandi programmi di fine vita del rifiuto elettronico. Vale anche per le batterie, abbiamo un tema enorme di recupero di materiali molto pregiati la cui manifattura aumenta l’impronta di carbonio. Quindi è un modello consumistico che va affrontato globalmente, e considerato nel budget complessivo. Il digitale non merita più attenzione di altri settori ma è considerato una specie di soluzione al problema, e sappiamo che non esistono soluzioni a costo zero”.
Alimentazione e biodiversità
Altra sfida da affrontare con urgenza è quella relativa alla nostra alimentazione, che ha comportato una pesante alterazione degli ecosistemi e della biodiversità. Ecco cos’ha detto Cingolani al riguardo:
“Studiando mi sono reso conto della incredibile modifica che ha fatto sapiens del suo ecosistema fatta 100 la massa di animali selvatici, quella degli animali da allevamento vale 700, la massa di esseri umani vale 300. Noi che eravamo una delle tante specie su questo pianeta, oggi rappresentiamo il triplo di tutti gli animali selvaggi e quello che noi mangiamo, la nostra riserva alimentare, vale 700. Abbiamo fatto una completa rivisitazione della biodiversità perché non ci siamo adattati a mangiare quello che passava la natura, questo ci ha consentito di vivere più a lungo ma ciò ha comportato una notevole alterazione dell’ecosistema. Sono partito da quello che mangiamo per aprire una riflessione sulla pressione locale e globale del cibo. La soluzione non è fermare il progresso, ma nemmeno dire che in nome del progresso si possa fare tutto. La sostenibilità è un compromesso tra diverse istanze che cambiano nel tempo, e nel post Covid le istanze saranno diverse da quelle che potevamo avere in un momento di grande floridità economica, dobbiamo essere in grado con coscienza e conoscenza di adattare le nostre scelte alle istanze”.
Il ministro Cingolani si è poi soffermato sulle nostre abitudini alimentari, che prevedono un consumo eccessivo di carne, che porta ad una serie di conseguenze negative sia sulla nostra salute che sull’ambiente:
“Tutti i problemi di sostenibilità sono interconnessi non si può più separare l’epidemiologia da quello che mangiamo, dal modello di sviluppo economico, questa cross-correlazione richiede soluzioni che siano multiple e si ispirino al concetto del co-beneficio. Un progetto su cui spero potremo lavorare insieme: sappiamo che chi mangia troppa carne subisce degli impatti sulla salute, allora si dovrebbe diminuire la quantità di proteine animali sostituendole con quelle vegetali, d’altro canto la proteina animale richiede 6 volte l’acqua della proteina vegetale, a parità di quantità, e allevamenti intensivi che producono il 20% della CO2. Allora modificando un modello di dieta aumentando le proteine vegetali avremmo un co-beneficio migliorando la salute pubblica, diminuendo l’uso di acqua e producendo meno CO2, è questo un esempio di co-beneficio”.
Tecnologie al servizio della prevenzione
Infine, il ministro Cingolani ha aperto una riflessione sul potenziale che ha la tecnologia se usata adeguatamente per tutelare l’ambiente e prevenire certi disastri ecologici:
“Dobbiamo cominciare a guardare al futuro con un’ottica diversa che è quella della prevenzione, serve l’analisi del rischio di tutto quello che facciamo. In vista del Recovery Plan, mi viene in mente quanto sia importante oggi poter osservare il territorio mettere insieme satelliti, droni, i sensori che sono a terra, riuscire a fondere i dati, metterli in un cloud sicuro, analizzarli con l’intelligenza artificiale e riuscire così a monitorare le coste, le aree di verde, le discariche, le perdite dagli acquedotti o dalle condutture, la resistenza delle infrastrutture strade e ponti. Vivendo a Genova sono particolarmente sensibile a questo tema: ho visto il ponte Morandi crollare da casa mia, sono tutte cose che dobbiamo cominciare a mettere nel paniere delle nostre tecnologie”.
Fonte: Ministero della Transizione Ecologica (MiTE)
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