Lavoro minorile, deforestazione, impoverimento delle falde, perdita di biodiversità: quanto pagheremo per la transizione ecologica?
Sfruttamento minorile, deforestazione, consumo di acqua: il prezzo che potremmo pagare per un futuro più verde potrebbe essere assai elevato se non adottiamo misure che rispettino i diritti umani e ambiente.
Per tentare di contrastare gli effetti della crisi climatica in atto è indispensabile ridurre le nostre emissioni ed eliminare il ricorso ai combustibili fossili. La transizione verso tecnologie verdi però, potrebbe avere conseguenze ambientali e sociali che non possiamo sottovalutare.
Cessare di dipendere dai combustibili fossili significa ad esempio sostituire le nostre auto a benzina e diesel con auto elettriche e dismettere le centrali a gas per costruire impianti eolici e solari. Per costruire le batterie necessarie ad auto e impianti servono metalli come litio e cobalto, la cui domanda potrebbe aumentare notevolmente nel prossimo decennio.
L’estrazione di questi minerali presenta però numerose criticità. Il litio, ad esempio, proviene soprattutto da miniere in Argentina, Bolivia e Cile e la sua estrazione, oltre a provocare deforestazione, richiede enormi quantità di acqua che vengono pompate da falde sotterranee, impoverendole, e non sono rari incidenti che provocano la fuga di sostanze tossiche che avvelenano i corsi d’acqua.
Per quanto riguarda il cobalto, invece, la sua estrazione espone i lavoratori a polveri nocive che provocano malattie polmonari letali. Oltre la metà del cobalto che utilizziamo proviene da miniere non regolamentate della Repubblica Democratica del Congo, dove vengono sfruttati bambini, a cui non vengono nemmeno forniti dispositivi di protezione individuali.
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I problemi non sono legati solo a litio e cobalto, ma anche alle migliaia di tonnellate di rame che serviranno per gli impianti e le batterie delle nuove auto e al cemento necessario per costruire dighe idroelettriche.
Esistono soluzioni? Secondo gli scienziati, potremmo limitare lo sfruttamento delle risorse terrestri e rivolgerci al mare per ottenere i materiali di cui abbiamo bisogno.
Sui fondali marini sono infatti presenti depositi di tonnellate di cobalto, rame, manganese e altri minerali che potrebbero essere raccolti da robot sommergibili. Questo risolverebbe però solo parzialmente il problema, creandone altri. I fondali oceanici sono infatti ricchi di biodiversità: l’estrazione mineraria a 4-5mila metri di profondità potrebbe devastare forme di vita preziose, alcune delle quali ancora sconosciute.
Qualcuno sta invece cercando di rendere il più sostenibile possibile l’estrazione di litio e cobalto. La casa automobilistica BMW, ad esempio, ha recentemente commissionato due studi per indagare sugli impatti ambientali delle miniere di litio, allo scopo di realizzare catene di approvvigionamento sostenibili. Le ricerche saranno finanziate anche con il supporto dell’azienda chimica europea BASF, già impegnata nel progetto “Cobalt for Development” che coinvolge 1500 minatori nella Repubblica Democratica del Congo e a cui, oltre a BMW, hanno aderito anche Volkswagen e Samsung. Il fine dell’iniziativa è quello di formare i lavoratori del settore minerario, istruendoli sulle conseguenze ambientali e sociali dell’estrazione del cobalto e indirizzandoli verso pratiche minerarie responsabili che rispettino diritti umani, salute, sicurezza e ambiente.
Dal canto loro, anche le società minerarie tentano affannosamente di adeguarsi, cercando di rincorrere obiettivi ambientali migliori di quelli prefissati fino a ora, anche grazie alla spinta del quadro legislativo in continua evoluzione (l’Europa ha proposto che dal 1° luglio 2024 possano entrare nel mercato UE solo le batterie industriali ricaricabili e per veicoli elettrici per le quali sia stata stabilita una dichiarazione sull’impronta di carbonio). Lo scorso ottobre, il produttore storico cileno di litio Sociedad Quimica y Minera (SQM) ha presentato il suo piano di sviluppo sostenibile, impegnandosi a ridurre immediatamente del 30% l’uso di acqua dolce nelle sue operazioni nella regione cilena di Salar de Atacama rispetto ai livelli del 2019. Mira a portare questa riduzione al 50% entro il 2030.
Ulteriori soluzioni potrebbero arrivare grazie al progresso tecnologico, in grado di offrire metodi di estrazione più sostenibili, ma anche di trovare materiali alternativi al litio da utilizzare nelle batterie ricaricabili. Di recente, un gruppo di ricercatori ha indagato sull’utilizzo del fluoro come potenziale sostituto del litio e gli studi, anche se preliminari, sembrano promettenti.
Qualunque sia la strada, questa dovrà portarci verso un futuro davvero sostenibile, nel pieno rispetto dei diritti umani, della biodiversità e delle risorse ambientali.
https://youtu.be/EjeAxEZTPGc
Fonte di riferimento: The Guardian/BMW/BASF/Journal of Materials Chemistry A/Fastmarkets
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