Quasi 3mila morti, 280mila sfollati, interi paesi andati distrutti: il terremoto dell'Irpinia del 1980, con la sua magnitudo di 6,9, portò la devastazione più totale tra la Campania centrale e la Basilicata centro-settentrionale. Una delle peggiori calamità che l'Italia abbia mai conosciuto nel secolo scorso e di cui ancora oggi si portano i segni.
Erano le 19.34 di domenica 23 novembre 1980 quando una scossa di 90 secondi del 10° grado della scala Mercalli colpì queste zone, con epicentro tra i comuni di Teora, Castelnuovo di Conza e Conza della Campania, interessando un’area di 17mila chilometri quadrati.
I numeri del disastro furono terribili: 280mila sfollati, 8.848 feriti e, secondo le stime, 2.914 morti. Secondo l’Ufficio del Commissario Straordinario, dei 679 comuni appartenenti alle otto aree interessate dal terremoto (Avellino, Benevento, Caserta, Matera, Napoli, Potenza, Salerno e Foggia), ben 506 (il 74%) furono danneggiati.
“Non vi sono stati i soccorsi immediati che avrebbero dovuto esserci – disse due giorni dopo Sandro Pertini, allora presidente della Repubblica. Ancora dalle macerie si levavano gemiti, grida di disperazione di sepolti vivi”.
I soccorsi furono in effetti tardivi e insufficienti per diverse ragioni e non solo per le difficoltà di accesso a diversi luoghi isolati per il crollo di strade e ponti. Quello dell’Irpinia passerà alla storia come la macchina dei soccorsi più inadeguata che ci sia mai potuta essere.
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Perché i soccorsi tardarono? Lo storico discorso di Pertini
“Italiane e italiani, sono tornato ieri sera dalle zone devastate dalla tremenda catastrofe sismica. Ho assistito a degli spettacoli che mai dimenticherò. Interi paesi rasi al suolo, la disperazione dei sopravvissuti […] Sono arrivato in quei paesi subito dopo la notizia che mi è giunta a Roma della catastrofe, sono partito ieri sera. Ebbene, a distanza di 48 ore, non erano ancora giunti in quei paesi gli aiuti necessari. È vero, io sono stato avvicinato dagli abitanti delle zone terremotate che mi hanno manifestato la loro disperazione e il loro dolore, ma anche la loro rabbia. […] Quello che ho potuto constatare è che non vi sono stati i soccorsi immediati che avrebbero dovuto esserci. Ancora dalle macerie si levavano gemiti, grida di disperazione di sepolti vivi. […]
Nel 1970 in Parlamento furono votate leggi riguardanti le calamità naturali. Vengo a sapere adesso che non sono stati attuati i regolamenti di esecuzione di queste leggi. E mi chiedo: se questi centri di soccorso immediati sono stati istituiti, perché non hanno funzionato? Perché a distanza di 48 ore non si è fatta sentire la loro presenza in queste zone devastate? […]
Non deve ripetersi quello che è avvenuto nel Belice […] dove a distanza di 13 anni non sono state ancora costruite le case promesse. I terremotati vivono ancora in baracche: eppure allora fu stanziato il denaro necessario. Le somme necessarie furono stanziate. Mi chiedo: dove è andato a finire questo denaro? Chi è che ha speculato su questa disgrazia del Belice? E se vi è qualcuno che ha speculato, io chiedo: costui è in carcere? […] Perché l’infamia maggiore, per me, è quella di speculare sulle disgrazie altrui. Quindi, non si ripeta, per carità, quanto è avvenuto nel Belice, perché sarebbe un affronto non solo alle vittime di questo disastro sismico, ma sarebbe un’offesa che toccherebbe la coscienza di tutti gli italiani, della nazione intera e della mia prima di tutto”.
E poi l’appello rivolto agli italiani:
“Un appello voglio rivolgere a voi, italiane e italiani, senza retorica, un appello che sorge dal mio cuore, di un uomo che ha assistito a tante tragedie, a degli spettacoli, che mai dimenticherò, di dolore e di disperazione in quei paesi. A tutte le italiane e gli italiani: qui non c’entra la politica, qui c’entra la solidarietà umana, tutte le italiane e gli italiani devono mobilitarsi per andare in aiuto a questi fratelli colpiti da questa nuova sciagura. Perché, credetemi, il modo migliore di ricordare i morti è quello di pensare ai vivi”.
Accusa alle lentezze nei soccorsi, a una Protezione Civile ancora inadeguata, al caos, al disordine, alle autorità locali del tutto impotenti. La distruzione dell’Irpinia ha rappresentato, ahinoi, la fase embrionale di quelli che sarebbero stati poi altri disastri, a partire da L’Aquila: qui, come in Campania, come in Emilia nel 2012 o ad Amatrice del 2016, l’orologio si è fermato e le ferite rimarranno aperte per sempre.
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Fonte: Foto Cover
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