Oggi le cosiddette terre rare sono indispensabili per il settore tecnologico e per la transizione energetica, ma lanciarci nella loro estrazione è davvero una buona soluzione? In realtà i rischi che si corrono non sono da sottovalutare e ci sono altre vie (più praticabili e sostenibili) da considerare
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Il nostro Paese è pronto ad andare a “caccia” di terre rare, metalli considerati preziosi in questo particolare momento storico in cui sono richiesti per produrre tecnologie green come turbine eoliche, pannelli fotovoltaici, smartphone e auto elettriche.
Sull’estrazione di terre rare l’Italia si sta muovendo in anticipo. – ha dichiarato qualche giorno fa ai microfoni di Repubblica il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso – L’Europa ha capito che sul fronte della transizione green bisogna darsi obiettivi sfidanti e quello delle materie prime è un settore strategico, non solo dal punto di vista industriale, ma è in gioco la nostra libertà e sovranità.
Ma cosa intendiamo esattamente con l’espressione terre rare? E, soprattutto, siamo proprio sicuri che aprire nuove miniere sia la soluzione migliore e l’unica strada percorribile?
Terre Rare: cosa sono e perché sono così importanti oggi
Le cosiddette terre rare (dette anche REE o Rare Earth Elements) non sono altro che un gruppo di diciassette elementi chimici, ovvero: cerio (Ce), disprosio (Dy), erbio (Er), europio (Eu), gadolinio (Gd), olmio (Ho), lantanio (La), lutezio (Lu), neodimio ( Nd), praseodimio (Pr), promezio (Pm), samario (Sm), scandio (Sc), terbio (Tb), tulio (Tm), itterbio (Yb) e ittrio (Y). Si tratta di metalli che hanno svolto un ruolo entrale nella rivoluzione tecnologica dell’ultimo ventennio.
Questi vengono trovano applicazione in numerosi settori: vengono impiegati per i chip, negli hard-disk del computer, nei circuiti elettronici, nelle turbine eoliche, nei pannelli fotovoltaici di ultima generazione, nelle lampade a basso consumo, negli smartphone e nelle auto elettriche. Insomma, riuscire a farne a meno è sempre più difficile.
Secondo l’USGS (United States Geological Survey) nella crosta terrestre vi sarebbero 120 milioni di tonnellate di terre rare, sufficienti a soddisfare il fabbisogno del nostro Pianeta per secoli. Le riserve questi composti chimici si trovano in tutto il mondo,in particolare negli Usa, in Canada, in Cina, Sudafrica, Australia e Russia.
Attualmente, però, la Cina produce circa il 60% della fornitura globale di terre rare, mentre ne raffina l’80%. Un vero e proprio monopolio. Questi preziosi elementi vengono estratti principalmente nella Mongolia interna, dove è presente un enorme giacimento. Adesso, per cercare di rendersi più indipendente dal Paese asiatico, l’Italia sta valutando di investire in questo settore, sfruttando le risorse naturali del nostro territorio.
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L’impatto ambientale dell’estrazione delle terre rare
Come abbiamo visto, le terre rare rappresentano uno strumento che può aiutarci a sostenere la transizione ecologica, visto che sono impiegate ad esempio per realizzare pannelli solari e turbine eoliche. Eppure sono protagoniste di un grande paradosso. La loro estrazione, infatti, comporta una serie di problematiche ambientali e non solo.
La tecnica più utilizzata per estrarre e isolare le terre rare è quella idrometallurgica, che prevede tre fasi: dissoluzione (estrazione dalle rocce tramite acidi), separazione (isolamento dei vari composti per formare soluzioni concentrate) e generazione (ottenimento del concentrato finale di ogni terra rara).
Per separare le REE dagli altri minerali vengono disciolte a più riprese in acidi per poi essere filtrate e “ripulite”. Durante questo processo vengono prodotti dei rifiuti tossici e radioattivi, che finiscono per contaminare il suolo e l’acqua.
Ma questo non è l’unico lato oscuro legato alle terre rare. Un’altra questione da affrontare è quella dello sfruttamento dei lavoratori. Spesso e volentieri in Paesi dell’Africa e dell’Asia ad estrarre le terre rare sono ragazzini e bambini, che mettono a rischio la loro salute e la loro stessa vita nei giacimenti.
Le strade alternative alla corsa all’estrazioned delle REE
Considerato il pesante impatto ambientale e sociale legato alla produzione della terre rare, prima di parlare di nuove estrazioni sarebbe il caso di valutare altre vie alternative, più sostenibili. La prima è rappresentata dal riciclo dei dispositivi elettronici e di altri materiali, fra cui i pannelli fotovoltaici.
Secondo il report del 2022 del Centro di Coordinamento RAEE, lo scorso anno nel nostro Paese sono stati avviati a corretto riciclo poco più di 361.000 tonnellate di rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE). Per la prima volta dopo otto anni di crescita costante, la raccolta ha avuto una flessione del 6,2% rispetto al 2021.
Sono una valanga gli smartphone, i tablet e i computer che vengono buttati via e che potrebbero essere una fonte per la produzione di nuovi dispositivi. Sul territorio europeo si ricicla meno del 40% dei dispositivi elettronici, mentre il resto va a finire nell’indifferenziato.
Il boom della richiesta delle terre rare, poi, è strettamente connesso al consumismo sfrenato che caratterizza la nostra società. Invece di continuare a produrre, sfruttando risorse e persone, dovremmo imparare a tornare all’essenzialità. Inoltre, ad incidere sulla disponibilità delle terre rare è anche la piaga dell‘obsoloscenza programmata, contro cui l’Unione Europea ha deciso finalmente di attivarsi.
Attraverso questa strategia – che il Parlamento Ue ha definito “sleale” – le multinazionali ci spingono a cambiare a ritmi frenetici cellulari e computer e ciò comporta una maggiore richiesta di metalli da estrarre per produrli.
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Fonti: USGS/Coordinamento RAEE/IUPAC
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