Il latte materno delle donne di Taranto avrebbe concentrazioni di diossina e PCB superiori del 28% rispetto a quello delle mamme che abitano in provincia. E' questo il dato allarmante che emerge dallo studio, durato tre anni, condotto dall'Istituto Superiore di Sanità per valutare l'esposizione a diossine e altre sostanze nelle neomamme della città pugliese, comparandolo con quelle della provincia.
Il latte materno delle donne di Taranto avrebbe concentrazioni di diossina e PCB superiori del 28% rispetto a quello delle mamme che abitano in provincia. È questo il dato allarmante che emerge dallo studio, durato tre anni, condotto dall’Istituto Superiore di Sanità per valutare l’esposizione a diossine e altre sostanze nelle neomamme della città pugliese, comparandolo con quelle della provincia.
E i risultati non lasciano ombra di dubbio: l’acciaieria avvelena silenziosamente i bimbi di Taranto fin dalla nascita, nonostante le rassicurazioni. A renderli noti l’ISS che, in un comunicato stampa, diffonde i dati del biomonitoraggio ufficiale commissionato tre anni fa dalla stessa ILVA all’Istituto Superiore di Sanità che lo ha realizzato in collaborazione con il Dipartimento Prevenzione dell’Asl di Taranto.
Lo studio era previsto già nel decreto del Ministero dell’Ambiente del 2012 con il quale si imponeva il riesame dell’AIA, l’Autorizzazione Integrata Ambientale, per l’esercizio dello stabilimento siderurgico.
L’analisi è stata condotta complessivamente su 150 campioni di latte, 76 appartenenti al gruppo delle donne residenti a Taranto e Statte e i restanti 74 appartenente al gruppo delle donne residenti in provincia, in un’area di controllo localizzata a più di 30 chilometri dalla città. Si trattava di tutte donne tra i 25 e i 40 anni di età, residenti in zona dal almeno 10 anni e al primo figlio.
I risultati del monitoraggio hanno mostrato una concentrazione di diossina e PCB nel latte delle donne residenti in città maggiore, in media, del 28% a quella delle donne residenti in provincia, con un aumento compresto tra il 18 e il 38% a seconda delle sostanze considerate (diossine, PCB diossina-simili e PCB non diossina-simili). Dati che non hanno sorpreso l’Istituto che parla, addirittura di una riduzione dell’esposizione a queste sostanze che non avrebbero conseguenze significative sulla salute:
“Lo studio che abbiamo realizzato in collaborazione con la ASL di Taranto mostra che l’esposizione delle donne residenti nell’area urbana è superiore, in modo statisticamente significativo a quella delle donne residenti in provincia – afferma Elena De Felip del Dipartimento Ambiente e Salute dell’Istituto Superiore di Sanità – ed è sovrapponibile a quella riscontrata in studi simili in altre zone industrializzate presenti in Italia. Il confronto con i risultati di altri studi di biomonitoraggio effettuati negli anni precedenti a Taranto e provincia suggerisce, inoltre, che nel tempo ci sia stata una riduzione dell’esposizione a queste sostanze. Questi risultati – conclude la De Felip – sono stati ottenuti grazie al prezioso contributo dei colleghi della ASL di Taranto il cui impegno sul territorio è stato per noi determinante”.
Conclusioni, però, che non lasciano affatto tranquilli, come ci tiene a sottolineare Alessandro Marescotti, presidente dell’associazione Peacelink che da anni si batte contro l’inquinamento della città di Taranto:
Questa conclusione non ci lascia tranquilli in quanto non si escludono affetti dannosi. – afferma Marescotti – Le donne sono esposte anche ad altri inquinanti ed è risultato ad esempio che sia stata trovato il naftalene nelle urine in quantità significativa (febbraio 2017) e sarebbe importante sapere dalla ASL se la principale fonte emissiva industriale, ossia la cokeria (con oltre tre tonnellate annue di naftalene diffuse nell’ambiente anche ad AIA completata), sia stata assolta oppure no. Inoltre le analisi sugli allevatori a Taranto indicano che le concentrazioni di diossina nel loro sangue aumenta man mano che ci si avvicina all’area industriale. Sono tutti indicatori che non ci possono far archiviare l’eccesso di diossine nelle donne di Taranto come un problema comune ad altre aree urbane, in considerazione del fatto che a Tarano ben si conosce qual è la fonte emissiva principale di diossina. È sbagliato rassegnarsi ad un fatale destino di maggiore diossina per le donne e il loro latte materno.Lo studio in questione è stato reso noto dopo quasi sette anni dal Riesame AIA ILVA e fornisce dati importantissimi per i decisori. La scienza dice che la diossina passa nei bambini che vengono allattati al seno e non è accettabile neanche una piccola quantità, se vogliamo tutelare le generazioni future.
Tenendo conto poi che l’emissione di diossina dallo stabilimento non è mai cessata, anzi che è tornata a salire anche dopo il cambio societario, Marescotti chiede che venga creata a Taranto una biobanca di sangue, urine, cordone ombelicale, latte materno, liquido amniotico, capelli e tessuti, che tenga traccia di tutto ciò che sta accadendo sia per le donne che per gli stessi lavoratori dell’ex Ilvia.
Non vogliamo essere trattati come cavie da laboratorio. E tuttavia va fatta questa biobanca affinché non si perdano le prove di quanto sta avvenendo in questo drammatico e prolungato esperimento sulla salute di un’intera comunità.
Un modo, insomma, per non perdere le prove di quanto stia accadendo a causa dell’inquinamento in una città in cui il lavoro si contrappone alla salute, in cui i bimbi muoiono di tumore il 30% di più che nel resto d’Italia e non si è mai intervenuto seriamente per sanare fino in fondo questo paradosso.
Ma questo significa che le mamme di Taranto non possono/devono allattare?
Assolutamente no! Anzi!
Come spiega Martina Carabetta, IBCLC e Presidente Latte & Coccole Roma, “Il latte protegge dalla contaminazione da diossina per chi vive in quell’ambiente. nonostante il fatto che ne contenga come qualsiasi cosa”.
i vantaggi dell’allattamento superano di gran lunga gli svantaggi della contaminazione da inquinanti. E proprio grazie alla composizione del latte materno allattare aiuta il bambino a proteggersi dall’effetto dell’esposizione.
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