Perché i grandi supermercati minacciano di boicottare i prodotti brasiliani per la deforestazione dell’Amazzonia

Business agroalimentare europeo minaccia di boicottare Bolsonaro se dovesse passare al Congresso una riforma che distruggerebbe l'Amazzonia.

In Brasile, il governo guidato dal presidente Bolsonaro è di nuovo sotto il mirino per le sue politiche sull’Amazzonia. Questa volta a scendere in campo sono i grandi supermercati che, potrebbe sembrare paradossale, minacciano ora di boicottare i prodotti brasiliani

La vuota retorica ambientalista del presidente brasiliano e le ambigue promesse (neutralità del carbonio entro il 2060 e fine della deforestazione nell’Amazzonia brasiliana entro il 2030) rivolte all’amministrazione Biden in occasione di un importante summit virtuale sul clima organizzato da Washington a fine aprile, non fanno ben sperare in un reale “cambio di rotta” del Brasile in tema di politiche per la mitigazione climatica e la protezione ambientale.

Eco-movimenti e ONG ambientaliste denunciano infatti l’aumento incontrollato di attività illegali — tra cui il land grabbing, il disboscamento selvaggio e l’estrazione mineraria — in Amazzonia

foresta amazzonia facebook marketplace

©PARALAXIS/Shutterstock

Il 5 maggio, ai deputati e ai senatori del Congresso federale del Brasile è giunta una lettera aperta, sottoscritta da 36 esponenti di grandi catene di supermercati e dell’industria alimentare europea (tra cui Tesco, Aldi, Marks & Spencer, Lidl, Sainsbury’s, Co-op, Waitrose e Iceland), non più disposti a sostenere ovvero a servirsi della catena di fornitura di prodotti agricoli brasiliani se il governo Bolsonaro dovesse riuscire a far passare una nuova riforma fondiaria e agraria. Quest’ultima, qualora venisse approvata, costituirebbe una minaccia esistenziale sia per le foreste dell’Amazzonia che per le popolazioni indigene locali.

I firmatari della lettera sono preoccupati per il destino dell’Amazzonia — la cui deforestazione, aggravata dai vasti incendi del 2019, ha raggiunto un’estensione pari a 9.762 chilometri quadrati tra l’agosto 2018 e il luglio 2019 —  e, in particolare, non vedono con favore la nuova proposta di legge n. 510/2021, che interviene a modificare e ad estendere la portata della legge n. 11.952 del 25 giugno 2009 in materia di politica fondiaria e proprietà agraria.

La normativa del 2009 era stata ritirata proprio su pressione del grande business agroalimentare europeo, pronto a boicottare le forniture commerciali dal Brasile, e tuttora convinto che nel paese sia ancora possibile non solo gestire la terra in maniera sostenibile, ma anche promuovere un’agricoltura rispettosa degli ecosistemi ambientali e delle comunità indigene.

Quella legge, al pari della nuova proposta di legge del 2021, autorizzava gli artefici del land grabbing a diventare i formali proprietari di grandi estensioni di terreni destinati all’agricoltura intensiva (coltivazioni di soia) e agli allevamenti di manzo, strappati alla foresta pluviale amazzonica, vulnerabile a ulteriori devastazioni ambientali e ad incendi dolosi.

Il futuro dell’Amazzonia è oggi ancora più oscuro e il populismo di destra di Bolsonaro sembra voler condannare la foresta e i suoi abitanti all’oblio.

Il legame tra supermercati e deforestazione

Da parte loro, le catene europee di supermercati e i giganti dell’agroalimentare stanno attuando una strategia a dir poco insolita: come mai, dopo che per decenni il consumo europeo dei prodotti importati dal Brasile (carni, soia, olio di palma, caffè, prodotti lattiero-caseari, cacao, cuoio, ecc.) ha contribuito per il 10% alla deforestazione globale, queste grandi imprese, proprio ora, stanno facendo pressione su Bolsonaro?  

Come emerso dal sondaggio 2021 di Greenpeace UK e dell’ONG Mighty Earth e dall’appello lanciato nel 2020 con l’hashtag #StopBrazilGenocide dal movimento Survival International, in realtà sarebbero i consumatori europei i veri protagonisti di questa operazione di boicottaggio dei prodotti brasiliani importati in Ue.

Come già accennato, le piantagioni di soia (importata in Ue soprattutto da Bunge e Cargill) e le carni di produzione industriale (importate da JBS, Tesco, Sainsbury’s, Morrisons, ASDA, Aldi e Lid) sarebbero all’origine della distruzione di ettari ed ettari di foresta amazzonica e di Cerrado brasiliano. Di fronte a tale scempio, i consumatori potrebbero quindi aver spinto le grandi catene di supermercati a dire stop ai prodotti implicati in illegali progetti di deforestazione, allo scopo di difendere un patrimonio ambientale globale di estrema importanza per la sopravvivenza umana e per la stabilità climatica.

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