Possiamo ancora riuscire a invertire la rotta salvando la Terra? La risposta è sì, o almeno possiamo provarci... Ma bisogna agire subito. Secondo una recente ricerca internazionale dovremmo far leva su tre punti critici che possono aiutarci a ribaltare la situazione: vediamo di quali si tratta
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I cambiamenti climatici avanzano inesorabilmente e ogni giorno di più ci sbattono in faccia tutte le loro devastanti conseguenze sul Pianeta e sulla nostra stessa vita. Siamo sempre più vicini al punto di non ritorno: ce lo ribadiscono da tempo diversi studi e associazioni ambientaliste, che purtroppo sono rimasti inascoltati. Ma, forse, non è ancora tutto perduto. L’umanità potrebbe riuscire a ridurre il tasso di inquinamento e a non superare il limite di 1,5° C previsto dall’Accordo di Parigi. Come? Intervenendo innanzitutto in tre settori responsabili del 70% delle emissioni globali di gas serra.
A proporre degli interventi mirati è un report diffuso in questi giorni nel corso del World Economic Forum di Davos (che ha fatto parecchio discutere per l’abuso dei jet privati utilizzati dai partecipanti al meeting).
Nel rapporto, che prende il nome di “The Breakthrough Effect”, è stato elaborato da un team internazionale di esperti guidati dall’Università di Exeter (UK) e indica tre punti di super ribaltamento o di svolta, che potrebbero avere effetti positivi di ampia portata cambiando in meglio le modalità di consumo della società.
“I settori dell’economia ad alte emissioni non esistono isolati: sono profondamente interconnessi e le soluzioni a emissioni zero possono influenzare le transizioni in più settori contemporaneamente” spiega Simon Sharpe, membro della UCL Policy Commission on the Communication of Climate Science e uno dei principali autori della ricerca.
Nell’agenda per il clima messa appunto nel corso della COP26 nel 2021, 45 paesi, che insieme rappresentano il 70% del PIL globale, si sono impegnati a lavorare insieme per rendere le tecnologie pulite e le soluzioni sostenibili l’opzione più conveniente, accessibile nei settori caratterizzati da più inquinamento entro fine di questo decennio.
Il report in questione ha quindi lo scopo di svelare quali sono i punti critici su cui bisogna lavorare e in cui occorre investire maggiormente. Vediamo nel dettaglio di quali si tratta.
Investire nei veicoli elettrici
Secondo il report, per evitare la catastrofe climatica l’umanità deve abbandonare i veicoli inquinanti promuovendo la transizione verso quelli elettrici. Negli ultimi tempi si è già registrata un’impennata che riguarda le loro vendite, ma ciò non è ancora sufficiente.
Aumentare l’adozione di veicoli elettrici al 60% del totale globale delle vendite di autovetture entro il 2030 aumenterebbe il
volume di produzione delle batterie di 10 volte rispetto ai livelli attuali. – sottolineano gli esperti – e questo potrebbe portare a una riduzione del 60% dei costi della batteria entro la fine di questo decennio.
Come spiegato nello studio, sostenere la diffusione di auto e altri veicoli elettrici avrebbe un effetto a cascata positivo anche nel settore dell’energia solare ed eolica, dove i costi verrebbero abbattuti.
Tuttavia, c’è una considerazione da fare: quando si parla di veicoli elettrici bisogna anche guardare all’altra faccia della medaglia, ovvero quella dello sfruttamento delle persone – in molti casi bambini – che nelle miniere di Paesi come il Congo estraggono il cobalto, uno dei materiali indispensabili per realizzare le batterie. Come denunciato da Amnesty International e altre organizzazioni, per gli operai – costretti a lavorare nelle miniere per intere giornate per salari da fame – il costo da pagare è altissimo e spesso finiscono per ammalarsi.
Optare per l’ammoniaca verde
Il secondo punto di super ribaltamento è rappresentato dall’ammoniaca verde, che può aiutarci a combattere i cambiamenti climatici. Com’è noto, l’ammoniaca a è un composto chimico essenziale per la produzione dei nostri fertilizzanti moderni. Annualmente se ne producono milioni di tonnellate che hanno un impatto molto pesante sull’ambiente (pari al 2% delle emissioni globali di CO2). Ma, fortunatamente, oggi è possibile optare per processi alternativi e sostenibili per sintetizzarla senza inquinare.
L’ammoniaca verde – che ha alto contenuto di idrogeno e non contiene carbonio – può essere impiegata sia come fertilizzante che come combustibile al posto delle fonti fossili.
“Il via libera all’uso di ammoniaca verde nei fertilizzanti dovrebbe essere considerato all’unisono con altre politiche (ad es. sussidi, agevolazioni fiscali) in modo da evitare aumenti di costo nel settore alimentare” si legge nel report in cui si aggiunge che investire in questa soluzione più sostenibile potrebbe aiutare a far scendere i costi legati all’idrogeno verde.
Promuovere le proteine alternative a quelle di origine animale
Infine, il terzo punto di svolta riguarda il settore alimentare. Gli esperti evidenziano quanto sia fondamentale promuovere la diffusione delle proteine non animali per ridurre i tassi di inquinamento del Pianeta (dato che la produzione di carne e latticini è responsabile del 15% circa delle emissioni globabli). E suggeriscono di introdurre alternative cruelty-free anche nei luoghi pubblici come gli ospedali, le scuole e gli uffici governativi.
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Secondo gli autori dello studio, ciò avrebbe degli effetti collaterali positivi innanzitutto in ambito zootecnico, visto che le emissioni provocate dagli allevamenti diminuirebbero. Ma non solo. Per riuscire a far consumare a un numero maggiore di persone alimenti con proteine alternative e ridurre la domanda legata alla carne e ai latticini bisogna, però, impegnarsi a migliorarne il gusto e la consistenza e rendere il loro prezzo più accessibile a tutti.
Così facendo a guadagnarci sarebbe pure il suolo. “Se le proteine alternative raggiungessero una quota di mercato del 20%, circa 400-800 milioni di ettari di terreno eviterebbero di essere sfruttati per gli allevamenti intensivi” viene sottolineato nel report.
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Fonte: The Breakthrough Effect
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