Sulle Alpi e sugli Appennini nevica sempre di meno (e gli sciatori si riversano in Scandinavia)

Le temperature sopra alla media non riescono a garantire la formazione della neve in zone in cui dovrebbe invece formarsi in abbondanza, ragione per cui sulle Alpi è (ancora una volta) allarme

Niente neve lassù in cima: in montagna è SOS neve, complici la crisi climatica e l’aumento delle temperature, con impatti negativi – come da qualche anno a questa parte – anche sul turismo invernale e sulla stagione sciistica.

A restituire un quadro tutt’altro che roseo ci pensa la Fondazione CIMA che monitora costantemente le condizioni dello Snow Water Equivalent (SWE), ossia l’acqua contenuta nella neve, che rappresenta un’indicazione preziosa sulla quantità di riserva idrica su cui potremo contare in primavera e in estate.

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E a febbraio il dato è decisamente allarmante: meno il 64%. I dati peggiori si registrano per gli Appennini, ma la situazione di scarsità di neve caratterizza tutta la penisola e, sulle Alpi (fondamentali anche per l’approvvigionamento idrico del bacino del Po), il deficit è del -63%, paragonabile a quello dell’anno scorso.

Le analisi

Le condizioni peggiori sono quelle degli Appennini dove, si potrebbe dire, la stagione della neve praticamente non è mai iniziata. L’esempio più eclatante è quello del bacino del Tevere, che registra un deficit di SWE del -93%, con condizioni stazionare da novembre, quando vi è stata l’ultima nevicata significativa. Più in generale, per la regione Abruzzo, che rappresenta un indice per l’Appennino centrale, il deficit è del -85%, in forte peggioramento rispetto a gennaio.

La situazione non è migliore sulle Alpi, dove il deficit complessivo (-53%) è solo di poco meno marcato che a livello nazionale e molto simile a quello dello scorso anno in questo stesso periodo.

mancanza neve

©Fondazione CIMA

La crisi del turismo

ochissima neve, nevica più tardi e la neve è più bagnata e più pesante: lo scarso innevamento non può non avere ricadute negative anche sulla stagione sciistica.

Secondo dati Legambiente:

  • sono 249 gli impianti dismessi censiti nel 2023 (15 in più rispetto al 2022). Tra i casi simbolo quello di Gressoney-la Trinité (in provincia di Aosta) Località Orsia-Bedemie, dove l’ex sciovia era utilizzata per lo sci estivo e lo snowboard. Lo skilift è stato dismesso per la fusione del ghiacciaio e le stazioni di partenza e di arrivo del vecchio skilift sono state smantellate e sgomberate
  • al 2023 erano 138 gli impianti temporaneamente chiusi (3 in più rispetto al 2022)
  • salgono a 181 gli impianti sottoposti a “accanimento terapeutico” (33 in più rispetto al 2022): ad esempio ad Asiago (VI), Comprensorio Kaberlaba, è stato costruito un nuovo bacino di raccolta per sparare neve nonostante la contrarietà delle attività ricettive

Tutto ciò va a discapito del nostro turismo: la mancanza di neve indubbiamente allontana gli appassionati di sci dalle stazioni a bassa quota in Italia, ma anche in Svizzera e nelle Alpi francesi. E dove vanno? Sicuramente al nord.

La mancanza di neve sulle Alpi quest’inverno sta incoraggiando i turisti a recarsi invece sulle piste della Scandinavia.

A dirlo è il CEO della compagnia aerea low cost Norwegian Air.

Il danno della neve artificiale

Secondo l’interessante report di Legambiente “Nevediversa 2023. Il turismo invernale nell’era della crisi climatica”, l’Italia è tra i Paesi alpini più dipendenti dalla neve artificiale, con il 90% di piste innevate artificialmente, seguita da Austria (70%), Svizzera (50%), Francia (39%). Va da sé, in effetti, che la neve artificiale ora costituisca il presupposto per una stagione sciistica più o meno fruttuosa, a tal punto che i comprensori per sopravvivere richiedono sempre nuove infrastrutture. Ma ciò a discapito dell’ambiente.

Preoccupante è anche il numero di bacini idrici artificiali presenti in montagna ubicati in prossimità dei comprensori sciistici italiani e utilizzati principalmente per l’innevamento artificiale: sono ben 142 quelli mappati nella Penisola per la prima volta da Legambiente attraverso l’utilizzo di immagini satellitari per una superficie totale pari a circa 1.037.377 metri quadri. Il Trentino Alto Adige detiene il primato con 59 invasi, seguito da Lombardia con 17 invasi e dal Piemonte con 16 bacini. Nel Centro Italia, l’Abruzzo è quello che ne conta di più, ben 4.

In parallelo, in Italia nel 2023 sono aumentati sia gli “impianti dismessi” toccando quota 249, sia quelli “temporaneamente chiusi” – sono 138 – sia quelli sottoposti a “accanimento terapeutico”, come scrive Legambiente, ossia quelli che sopravvivono con forti iniezioni di denaro pubblico, e che nel 2023 arrivano a quota 181.

Eppure, ben si sa che il sistema di innevamento artificiale non è una pratica sostenibile e di adattamento, dato che comporta consistenti consumi di acqua, energia e suolo.

neve Legambiente

©Legambiente

Considerando che in Italia il 90% delle piste è dotato di impianti di innevamento artificiale – si legge nel documento – il consumo annuo di acqua già ora potrebbe raggiungere 96.840.000 di m³ che corrispondono al consumo idrico annuo di circa una città da un milione di abitanti. Inoltre l’innevamento artificiale richiede sempre maggiori investimenti per nuove tecnologie ed enormi oneri a carico della pubblica amministrazione.

Senza considerare che anche il costo della stessa produzione di neve artificiale sta aumentando.

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