Pubblicato l'ultimo capitolo dello studio di Greenpeace Italia e Osservatorio di Pavia che analizza come i media italiani raccontano (o non raccontano) la crisi climatica e in che misura siano in realtà dipendenti economicamente dall’industria dei combustibili fossili. Noi di GreenMe siamo invece fieri di dire che siamo liberi da sempre dai finanziamenti e dalle influenze delle aziende dei combustibili fossili, motivo per cui facciamo parte della coalizione “Stampa libera per il clima” e portiamo avanti la bandiera di una corretta informazione sul clima contro il greenwashing
Indice
Nell’estate più calda di sempre, tra eventi estremi e siccità record, carta stampa e telegiornali hanno aumentato l’attenzione verso l’emergenza climatica. È accaduto soprattutto in concomitanza delle alluvioni – Emilia-Romagna in primis – e delle ondate di calore, ma pare non sia bastato.
Contemporaneamente si è infatti assistito a un ritorno del negazionismo, è quel che è peggio è che anche alcuni esponenti di Governo non hanno fatto a meno di minimizzare l’emergenza.
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È quanto emerge dal nuovo rapporto che Greenpeace Italia ha commissionato all’Osservatorio di Pavia, in cui è stato esaminato, nel periodo fra maggio e agosto 2023, il modo in cui la crisi climatica è stata raccontata dai cinque quotidiani nazionali più diffusi (Corriere della Sera, la Repubblica, Il Sole 24 Ore, Avvenire, La Stampa), dai telegiornali serali delle reti Rai, Mediaset e La7 e dalle 20 testate di informazione più seguite su Instagram.
Il report
Si tratta di una ultima analisi che va ad aggiornare il monitoraggio periodico di Greenpeace sull’informazione dei cambiamenti climatici in Italia.
Nel secondo quadrimestre del 2023 i principali quotidiani italiani hanno pubblicato in media 3,3 articoli al giorno in cui si fa almeno un accenno alla crisi climatica, sebbene gli articoli realmente dedicati al problema siano meno della metà.
Certamente è un buon aumento ma, ahinoi, molto probabilmente riconducibile al dibattito che ha accompagnato l’alluvione dell’Emilia-Romagna e le ondate di calore estive. Ma attenzione però: anche in questi casi, c’è chi ha peccato di negazionismo e ha tentato di sminuire i rischi del riscaldamento globale: il 18% degli articoli diffonde infatti argomenti apertamente negazionisti o di opposizione agli interventi per contrastare la crisi climatica.
Se persino davanti alle vittime e ai danni degli eventi estremi, nei palinsesti trovano tanto spazio il negazionismo e l’opposizione alla transizione energetica, è anche perché gran parte dei media italiani sopravvive grazie ai finanziamenti di ENI e delle altre aziende fossili, che della crisi climatica sono i principali responsabili. In Italia non c’è libertà di stampa sul clima e questo è un pericolo per il pianeta e per le nostre vite, dichiara Giancarlo Sturloni, responsabile della comunicazione di Greenpeace Italia.
Il nodo delle pubblicità
La dipendenza economica della stampa italiana dall’industria dei combustibili fossili è confermata dall’elevato numero di pubblicità di compagnie del gas e del petrolio, dell’automotive, aeree e crocieristiche presenti sui cinque quotidiani esaminati:
- Avvenire
- Corriere della Sera
- Il Sole 24 Ore
- La Repubblica
- La Stampa
Il periodo del monitoraggio si estende dal 1°maggio 2023 al 31 agosto 2023
- sul Corriere e su Repubblica si arriva a una media di sei inserzioni pubblicitarie a settimana, cioè quasi una al giorno
L’influenza del mondo economico emerge anche dall’analisi dei soggetti che hanno più voce nel racconto della crisi climatica sui quotidiani: al primo posto si trovano infatti aziende ed esponenti dell’imprenditoria (17,5%), che staccano politici e istituzioni nazionali (13%) e internazionali (12%), tecnici e scienziati (11%), associazioni ambientaliste (7%)
Le pubblicità rilevate sono così distribuite:
Le pubblicità monitorate evidenziano, inoltre, una presentazione al lettore dei prodotti, dei servizi e in generale del brand con messaggi che parlano al pubblico di impegno verso sostenibilità e transizione. In alcuni di questi green advertising si evidenziano riferimenti al futuro, al domani. Alcune aziende inquinanti presentano in pubblicità le loro aree di business green rispetto al loro core business fossile
A2A “… lavoriamo con le migliori competenze e le più avanzate tecnologie per guidare la transizione ecologica con un Pino concreto per raggiungere l’impatto zero. Perché guardiamo lontano pensando al futuro di tutti”
ENI: “A energia disponibile o energia alternativa in ENI preferiamo energia disponibile e alternativa”
Alleanza open-es powered by ENI: “insieme per imprese più competitive e sostenibili”
Plenitude (ENI): “abbiamo energia per cambiare”; “con Plenitude il fotovoltaico è parte della tua vita”; “con Plenitude l’energia eolica è parte della tua vita. Produciamo energia da fonti rinnovabili in Italia e all’estero”; “Scopri le soluzioni per contribuire a ridurre il tuo impatto ambientale su eniplenitude.com”
Progetto Energy4Blue di e.on: #makeitalygreen “rendiamo il mare più blu, per un pianeta più green”
Nissan: “Vivi un’emozione 100% elettrica, mai provata prima.
Chi sono i responsabili della crisi climatica? Nessuno lo dice
Sui telegiornali colpisce il fatto che, in quattro mesi di trasmissioni, su nessuno dei sette TG esaminati sia mai stato menzionato alcun responsabile della crisi climatica, raccontata come un delitto senza colpevoli. Anche sui telegiornali gli eventi estremi sono stato l’argomento più trattato, con oltre la metà delle notizie sul clima, favorendo un aumento della copertura televisiva: nelle edizioni di prima serata, il 2,7% delle notizie trasmesse ha fatto almeno un accenno alla crisi climatica, contro l’1,9% del quadrimestre precedente.
Il TG3 e il TG4 sono i telegiornali che hanno dato più spazio al riscaldamento del pianeta, con il 3,6% sul totale delle notizie trasmesse, mentre fanalino di coda si è confermato ancora una volta il TG La7 di Enrico Mentana, con appena l’1,8%.
Su Instagram è anche peggio
Per quanto riguarda infine le testate d’informazione più diffuse su Instagram, canale di riferimento per i più giovani, le notizie sulla crisi climatica sono state poco più del 4% sul totale dei post pubblicati. Hanno trovato più spazio gli aspetti ambientali (40%) e sociali (19%) rispetto a quelli politici (18%) ed economici (8%). Tra i soggetti citati o intervistati prevalgono di gran lunga gli esperti scientifici (32%), che staccano aziende ed esponenti dell’imprenditoria (11%) e associazioni ambientaliste (11%).
Inoltre, a differenza di quanto avviene sui media tradizionali, nel 4% dei post sul clima si parla esplicitamente di responsabili, indicando compagnie petrolifere e altre aziende inquinanti. Nel complesso, hanno dedicato più attenzione alla crisi climatica will_ita (12% sul totale dei post pubblicati), tpi (11%) e laveritaweb (9,5%), mentre chiudono la classifica corriere (1,0) e ilfoglio (0,6%):
In base ai risultati dello studio, Greenpeace ha aggiornato la classifica dei principali quotidiani italiani:
- (con 6,8 punti su 10), anche grazie alla quasi assenza di pubblicità di aziende inquinanti;
- la Repubblica (5,0)
- La Stampa (4,8)
- il Corriere (4,0)
- Il Sole 24 Ore (3,6)
QUI i rapporti completi.
Noi siamo liberi!
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Fonte: Greenpeace
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