Il popolo dell'Ecuador sta votando per qualcosa di più di un semplice nuovo Presidente. Per la prima volta nella storia, qui si è deciso il destino dell'estrazione di petrolio nell'Amazzonia ecuadoriana: quasi il 60% dei votanti ha scelto di fermare lo sfruttamento del greggio nel Parco Nazionale Yasuní
L’Ecuador ha stabilito un precedente mondiale poche ore fa, decidendo attraverso un vero e proprio plebiscito di bloccare lo sfruttamento del petrolio da uno dei suoi più grandi giacimenti, situato nel Parco Nazionale Yasuní, considerato il cuore dell’Amazzonia ecuadoriana e uno degli epicentri mondiali della biodiversità.
Mentre bisognerà attendere il secondo turno di ballottaggio per definire chi sarà il prossimo Presidente (con il 83% di affluenza alle urne, si trova in testa con il 33% dei voti la progressista Luisa Gonzalez, del partito dell’ex presidente Rafael Correa, esiliato in Belgio dopo esser stato condannato per corruzione. Dietro di lei, con il 24% dei voti, c’è il giovane imprenditore Daniel Noboa Azin, figlio dell’ex candidato presidenziale Alvaro Noboa, proprietario di grandi piantagioni di banane), ai referendum sulle trivelle segnano vittoria netta gli indigeni e gli ambientalisti sui petrolieri.
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Contestualmente alle presidenziali, infatti, per la prima volta nella storia il popolo ecuadoregno è stato chiamato a decidere il destino dell’estrazione di petrolio nell’Amazzonia ecuadoriana e se le compagnie petrolifere possono o no continuare a trivellare in uno dei luoghi più ricchi di biodiversità del Pianeta, il Parco Nazionale Yasuní, sede delle ultime comunità indigene incontattate dell’Ecuador.
La vittoria e il no alle trivelle
Ebbene, con quasi il 58% dei voti contati, il 59,14% degli ecuadoriani ha votato “Sì” per cessare le operazioni del Blocco 43-ITT rispetto al 40,86% che ha votato “No” per fermare l’attività del deposito che gestisce la società statale Petroecuador.
Il risultato costituisce un clamoroso trionfo per YASunidos, il gruppo ambientalista che ha promosso la consultazione nazionale con l’obiettivo dichiarato di proteggere Yasuní, un’area estremamente sensibile a qualsiasi fuoriuscita di petrolio, e anche le popolazioni indigene in isolamento volontario che vivono nel Parco Nazionale.
¡Hoy hicimos historia!
Esta consulta, nacida desde la ciudadanía, demuestra el mayor consenso nacional en Ecuador. Es la primera vez que un país decide defender la vida y dejar el petróleo bajo tierra.
¡Es una victoria histórica para Ecuador y para el planeta!#SÍalYasuní pic.twitter.com/RBvHzkozxp
— YASunidos (@Yasunidos) August 21, 2023
È anche una vittoria per il movimento indigeno, che aveva manifestato principalmente a favore del “Sì”, in particolare gli indigeni dei Waorani, il gruppo etnico più numeroso che abita lo Yasuní, un’area naturale protetta di un milione di ettari.
All’interno di questa riserva naturale sono state trovate più di 2mila specie di alberi e arbusti, 204 mammiferi, 610 uccelli, 121 rettili, 150 anfibi e più di 250 pesci, ed è anche la casa dei tagaero, Taromenane e Dugakaeri , popolazioni indigene in isolamento volontario.
Con questo risultato, e dopo la sentenza storica del 2019, il Paese dirà addio a un giacimento dove vengono prodotti giornalmente 55mila barili di petrolio, pari all’11% della produzione nazionale di greggio (che ad oggi le amministrazioni hanno fatto in modo che rimanesse uno dei grandi pilastri della l’economia ecuadoriana).
I tempi per smantellare tutto
Secondo la sentenza della Corte Costituzionale che ha dato il via libera al plebiscito, lo Stato ha un anno di tempo per smantellare le strutture, tempo che, secondo Petroecuador, è materialmente impossibile a causa dei lavori e dei protocolli che devono essere applicati per chiudere pozzi e smantellare le strutture.
Secondo i calcoli del Governo, la cessazione delle attività nel Blocco 43-ITT potrebbe causare allo Stato un danno di 1.200 milioni di dollari l’anno di profitti dalla vendita di greggio, che nell’arco di 20 anni potrebbe ammontare a 13.800 milioni di dollari. Le stime dell’Esecutivo prevedono anche un costo di 500 milioni di dollari per lo smantellamento di impianti la cui costruzione è costata vicino ai svariati milioni di dollari.
Tuttavia, i gruppi ambientalisti sostengono che l’impatto economico sarà molto minore e che la gestione di greggi pesanti come quello di Yasuní potrebbe cessare di essere redditizia in pochi anni con la caduta del prezzo del petrolio.
Intanto, la cessazione delle operazioni del Blocco 43-ITT ricadrà sul prossimo governo, che sarà eletto dal secondo turno delle elezioni presidenziali che saranno contestate dalla correísta Luisa González e dal giovane imprenditore Daniel Noboa.
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Fonte: Naiz
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