Uno degli obiettivi della COP28 di Dubai sarebbe (anche) quello di garantire che le preoccupazioni delle comunità più vulnerabili ai cambiamenti climatici siano ascoltate. Che si tratti delle popolazioni indigene, ma anche delle donne o dei più giovani, il riscaldamento del Pianeta colpisce in modo sproporzionato alcuni gruppi di persone
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Nei Paesi più vulnerabili ai disastri ambientali i più fragili e i meno rappresentati sono quelli più esposti alle violenze e alla povertà. E, tra inondazioni e siccità, incendi e fonti di cibo devastate, a soffrire più di tutti della crisi climatica sono i popoli indigeni. Eppure le loro richieste di prendere parte all’azione climatica sembrano da anni inascoltate. La COP28 sarà differente?
In queste ore, a Dubai, funzionari della Conferenza e altre parti interessate hanno discusso proprio con i gruppi indigeni. Sono loro (molti vivono in nazioni insulari) a costituire meno del 5% della popolazione mondiale, ma anche a contribuire di meno alle emissioni di gas serra, sia nelle regioni dell’America centrale, del Sud e dei Caraibi, dell’Asia meridionale o del Nord America.
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Tuttavia, gli eventi climatici li toccano direttamente e, considerando che queste comunità proteggono l’80% della biodiversità globale in diversi modi, incluso il controllo delle foreste, le soluzioni climatiche per proteggerli proteggono, di fatto, l’intero Pianeta. Semplice da capire eppure così difficile da mettere in pratica: uno dei motivi per cui i rappresentanti delle popolazioni indigene sono fondamentali per i colloqui e per mantenere vivo l’obiettivo più ampio di limitare le temperature globali a 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali.
Il nodo del mercato dei crediti di carbonio
Mentre la Conferenza delle Parti in corso a Dubai spiana in pratica la strada a una vasta espansione del mercato dei crediti di carbonio, gli attivisti denunciano che questo strumento oggi rappresenta “una minaccia per le terre indigene grande quanto il taglio del legno e le attività minerarie”.
La COP28 potrebbe rivelarsi ‘la COP del carbonio insanguinato’ perché governi, grandi aziende e ONG della conservazione lavoreranno insieme per promuovere il mercato dei crediti di carbonio invece di affrontare seriamente le vere cause della crisi climatica – dicono da Survival International. Questo potrebbe essere devastante per i popoli indigeni. Per governi, aziende e ONG della conservazione, i crediti di carbonio rappresentano un nuovo, imponente strumento per trarre profitto dal furto delle terre indigene, e lo stanno già facendo.
E non solo: le grandi ONG per la conservazione stanno aspettando dietro le quinte di ricavare milioni di dollari da terre indigene precedentemente derubate e trasformate in Aree Protette e questo sta distruggendo proprio coloro che sono i migliori custodi del mondo naturale, e che meno hanno contribuito alla crisi climatica.
Indigeni e altri leader di comunità che lottano in prima linea hanno lanciato un appello appassionato e rabbioso affinché i grandi inquinatori vengano espulsi dai colloqui sul clima delle Nazioni Unite, mentre nuovi dati pubblicati proprio questa mattina hanno rivelato che a 2.456 lobbisti dei combustibili fossili è stato concesso l’accesso alla COP28.
Per questo motivo i rappresentanti indigeni di sette regioni socio-culturali hanno chiesto a gran voce di porre fine al loro autentico genocidio e una moratoria sulle “false soluzioni” che ignorano le radici della crisi climatica e sollecitano una drastica riduzione delle emissioni di gas serra.
“Oggi sono la voce di mia nonna“, le parole di María José Andrade Cerda
Oggi, le mie parole esprimono i sentimenti dei miei antenati, dei nostri popoli, delle ragazze, dei ragazzi, delle donne e degli uomini indigeni che continuano a vivere in armonia con la nostra Madre Terra e l’universo – dice sui popoli indigeni nel suo discorso all’evento della presidenza della COP28, María José Andrade Cerda, giovane indigena della comunità Kichwa di Serena, in Ecuador.
Oggi sono anche la voce di mia nonna che mi ha insegnato la saggezza della nostra cultura e di madre natura. Mi ha insegnato che il volo travagliato dei suyu pishkus significa che si stanno avvicinando piogge torrenziali. Questi uccelli ci danno segnali meteorologici e noi li interpretiamo come segnali premonitori che ci permettono di adattarci ai cambiamenti climatici.
📢 María José (Majo) Andrade Cerda, an #Indigenous rights activist, will be speaking today at #COP28
🎤In June 2023, IWGIA had the chance to speak with her at the UNFCCC Bonn Climate Change Conference. Listen to her insights about the #ClimateCrisis pic.twitter.com/JKQXsERXgB
— IWGIA (@IWGIA) December 4, 2023
Così, María José Andrade Cerda invita i decisori politici a contribuire “con il proprio chicco di mais all’uso sostenibile, alla gestione e alla conservazione delle risorse naturali e culturali, a riconoscere i nostri diritti sui nostri territori, a garantire la piena effettiva partecipazione delle popolazioni indigene ai negoziati e a rispettare la libertà”.
“Rivendico Madre Terra“, l’anziana Ponca dell’Oklahoma
Le fa eco Casey Camp-Horinek, un’attivista e anziana Ponca dell’Oklahoma:
I nostri figli devono condividere gli inalatori a scuola perché non possono respirare a causa dell’inquinamento [del progetto sui combustibili fossili], ma la mia nazione non è al tavolo delle Nazioni Unite – ha appena detto. Proviamo compassione per coloro che pensano di avere il potere. Il loro tempo è passato, siamo qui per rivendicare la Madre Terra.
Il Production Gap Report del 2023 ha rivelato che i Governi, nel complesso, pianificano ancora di produrre più del doppio della quantità di combustibili fossili nel 2030 rispetto a quanto sarebbe compatibile con la limitazione del riscaldamento globale a 1,5°C.
“La necessità di eliminare gradualmente i combustibili fossili continua a crescere e durante i negoziati spingeremo fortemente affinché i governi si impegnino a porre fine all’estrazione e all’espansione dei combustibili fossili”.
“È una forma di genocidio ambientale che non tollereremo più. I combustibili fossili devono sparire. Devono essere gradualmente eliminati. Deve esserci un piano elaborato qui e annunciato qui per l’eliminazione completa dei combustibili fossili, non l’espansione, non la crescita finanziaria”, conclude l’attivista.
La lotta di Danielle Frank
Vengo da un luogo che considera tutto e ogni decisione, tutto ciò che prendiamo, ogni preghiera che diciamo al mattino, per i nostri bambini, per le nostre generazioni future. E queste persone qui presenti invece non lo fanno (…). Siamo una specie sull’orlo dell’estinzione. Ma sono qui per dire che il nostro momento è adesso. E oggi siamo noi, domani sei tu. Sei il prossimo. E non ci fermeremo. Non abbiamo paura. Non saremo messi a tacere. Continueremo a suonare. Non ci lasciano suonare qui. Non ci permettono di cantare le nostre canzoni. Ci buttano nei padiglioni. Ma noi siamo qui e la stampa sta guardando. Tutti stanno guardando”, tuona anche la diciannovenne attivista indigena Danielle Frank, della tribu Hupa.
Gli sforzi di Danielle erano stati documentati nel film Abalone Eyes, di Jazmin Garcia, che aveva
seguito la sua difficile missione per proteggere il fiume Trinity che scorre lungo le terre di Hupa. Ripercorrendo il percorso di attivismo attraverso conversazioni con anziani e antichi rituali, Abalone Eyes cerca di far luce sulle intersezioni tra giustizia idrica, giustizia nativa, giustizia climatica e salute mentale, raccontando come il profondo legame dell’Hoopa con la terra e la lotta per proteggerla , scorre profondo quanto il fiume Trinity che funge da forza vitale per la comunità, di generazione in generazione.
La forza di Txai Suruí
Anche Txai Suruí, definita dal quotidiano spagnolo El País l’attivista ambientale indigena brasiliana più conosciuta al mondo, porta avanti la causa dei popoli indigeni e oggi si fa protagonista di una campagna lanciata da Avaaz per i diritti dei Popoli Indigeni e dell’Amazzonia:
“Non posso fare a meno di dire che la nostra sfida è ancora più grande, penso che come movimento indigeno del Brasile, dobbiamo parlare di demarcazione dei nostri territori, di protezione dei nostri territori e di tutti coloro che non possono essere qui, cioè i nostri popoli indigeni in isolamento volontario, dobbiamo parlare delle violenze che le persone subiscono, degli omicidi dei nostri leader”.
Nel 2021, con altri tre attivisti del gruppo ambientalista Engajamundo, e due del gruppo internazionale FridaysforFuture, ha portato in giudizio alcuni funzionari del governo brasiliano con l’accusa di aver modificato i calcoli ufficiali delle emissioni di carbonio per aggirare le restrizioni dell’Accordo di Parigi. E, sempre quell’anno, fu selezionata come relatrice alla conferenza annuale delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici COP26 dove criticò i partecipanti per non avere alcuna attenzione ai problemi della deforestazione.
Queste donne portano avanti tutto ciò che possono, storie e saggezza davvero potenti e il ruolo vitale delle conoscenze e delle pratiche indigene nel preservare la biodiversità e il ruolo delle donne nella trasmissione di queste conoscenze.
Intanto, però, da Climate Action Network , la più grande coalizione mondiale di ONG sul clima, sottolineano che: ci sono più lobbisti dei combustibili fossili che delegati dei 10 Paesi più vulnerabili al clima messi insieme, ossia più di sette volte il numero di lobbisti dei combustibili fossili rispetto ai rappresentanti ufficiali degli indigeni. I conti non tornano.
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