Reati ambientali. Centinaia delle grandi sciagure che hanno devastato o stanno ancora devastando il nostro pianeta risultano al momento impunite. Dalla distruzione delle foreste indonesiane per la fabbricazione di carta da parte della multinazionale APP (e all’abbattimento degli alberi contribuisce anche la produzione di olio di palma) ai 350 mila abitanti delle Maldive che si preparano ad emigrare a causa dei cambiamenti climatici.
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Reati ambientali. Centinaia delle grandi sciagure che hanno devastato o stanno ancora devastando il nostro Pianeta risultano al momento impunite. Dalla distruzione delle foreste indonesiane per la fabbricazione di carta da parte della multinazionale APP (e all’abbattimento degli alberi contribuisce anche la produzione di olio di palma) ai 350 mila abitanti delle Maldive che si preparano ad emigrare a causa dei cambiamenti climatici.
Sono soltanto due degli esempi che compongono la “sporca dozzina” dei crimini contro l’ambiente presentata dalla Supernational Environmental Justice Foundation (Fondazione SEJF) per rendere evidente come molte delle devastazioni che hanno colpito o stanno colpendo il nostro Pianeta risultino impunite. Non vi sono stati risarcimenti per i danni provocati e i colpevoli non sono stati assicurati alla giustizia. Ecco la lista nera dei peggiori crimini contro la Terra e l’umanità. L’elenco non è esaustivo, purtroppo, ma costituisce di certo un prezioso spunto di riflessione.
Maldive e Kiribati: le isole sommerse dal cambiamento climatico
I 350 mila abitanti delle Maldive vivono minacciati dall’innalzamento del livello del mare. Se i cambiamenti climatici portassero ad un aumento della temperatura del Pianeta pari a “soli” 4 gradi, ciò provocherebbe ondate di calore estremo, una diminuzione degli stock alimentari, un rialzo del livello del mare che colpirebbe centinaia di milioni di persone, che sarebbero costrette a lasciare le proprie case. La situazione alle Maldive e tanto grave che gli abitanti sono già pronti ad essere ospitati dall’Australia. I nomadi del clima sono già qui.
Canada: le sabbie bituminose minacciano i nativi
Lo sfruttamento delle sabbie bituminose canadesi è forse l’attività industriale più dannosa del pianeta. La loro estrazione ha portato alla distruzione di una regione grande quanto la Florida. La foresta boreale viene distrutta e per ogni barile di petrolio da ottenere ne vengono sprecati cinque d’acqua. I beni comuni e le popolazioni native sono a rischio. I liquami tossici vengono scaricati nei laghi. La produzione di petrolio da sabbie bituminose minaccia le popolazioni che vivono attorno ai giacimenti, inquinando le falde acquifere e la carne di alce, che costituisce un elemento essenziale per l’alimentazione di Metis e Inuit.
Nigeria: il delta del Niger è avvelenato
L’estrazione di petrolio dal delta del Niger è devastante per gli ecosistemi e le popolazioni residenti. Viene posta in atto una pratica illegale, che consiste nel bruciare il gas che esce dai pozzi petroliferi insieme al greggio. Il fumo così generato contiene un’elevata quantità di sostanze tossiche per la salute e per l’ambiente. Respirare i fumi nocivi comporta avvelenamento del sangue e cancro.
Indonesia: la produzione di carta uccide le foreste pluviali
La produzione di carta da parte della multinazionale APP sta portando alla scomparsa delle foreste pluviali dell’Indonesia, uno dei più importanti ecosistemi del pianeta. Si tratta di un habitat essenziale alla sopravvivenza dell’orango e della tigre di Sumatra. Questi luoghi ospitano il 12% dei mammiferi, il 15% dei rettili e il 17% degli uccelli del pianeta. Malgrado sia attiva da decenni, e operi oramai su un mercato di dimensioni mondiali, la APP non ha messo a punto un sistema di pratiche di sostenibilità, contando sugli alti margini di profitto assicurati da pratiche forestali di saccheggio.
Giappone: lo tsunami nucleare di Fukushima
Il terremoto dell’11 marzo 2011 ha sconvolto il Giappone. Alla scossa di magnitudo 9 è seguito uno tsunami che ha messo in ginocchio i sistemi di sicurezza delle centrali nucleari, portando all’esplosione del reattore 1 della centrale di Fukushima e alla fusione del nocciolo nei reattori 2 e 3. Lo sgombero, nel giro di 30 chilometri, ha interessato più di 110 mila persone, delle quali 21 mila vivono ancora fuori dalle loro abitazioni. Centinaia di migliaia di persone sono ancora esposte ai rischi a lungo termine delle radiazioni. Le vittime non hanno ottenuto alcun risarcimento. Non sarà Tepco a pagare, ma la popolazione giapponese, mentre il Governo ha investito 3500 miliardi di yen per salvare l’azienda elettrica dalla bancarotta.
Golfo del Messico: la marea nera della Deepwater Horizon
Si tratta del più grave danno ambientale marino della storia statunitense. La marea nera che per oltre 106 giorni si è riversata in mare – si stima fra le 460 mila e le 800 mila tonnellate – ha generato danni ingenti, tanto da rendere impossibile una quantificazione certa degli effetti del disastro, soprattutto pensando alle conseguenze negli anni a venire. Dagli ecosistemi marini, alla salute delle popolazioni, dall’industria della pesca, a quella turistica, le ripercussioni sono state enormi. La BP si è accordata con il governo americano per un fondo risarcimento alle vittime di 20 miliardi di dollari, ma i reali danni del disastro ambientale sono tutti da valutare e la certezza della pena ancora da stabilire.
Romania: l’onda di cianuro del Danubio
L’onda di cianuro partita il 31 gennaio 2000 dalla miniera d’oro Esmeralda, ad Auriol, in Romania, dopo aver ucciso i due affluenti che le hanno permesso di arrivare al Danubio, punta decisa alla foce del fiume blu, cioè alla più grande zona umida d’Europa, uno dei pochi paradisi naturali sopravvissuti nel vecchio continente. Le accuse più gravi riguardano la dinamica dell’incidente che ha causato il disastro. Secondo la società rumeno-australiana che possiede la miniera Esmeralda, la colpa è di un fenomeno naturale, il disgelo, che avrebbe fatto tracimare una diga. Ma gli ambientalisti fanno notare che questo genere di dighe non dà sufficienti garanzie e chiedono di rivedere l’intero sistema delle autorizzazioni minerarie. La compagnia australiana Esmeralda Exploration ha dichiarato fallimento e nessuno ha mai risarcito un solo euro per uno dei disastri più imponenti della storia nei confronti di un sistema fluviale.
Ecuador: estrazioni petrolifere e contaminazione della foresta amazzonica
La multinazionale Chevron-Texaco, durante le operazioni di esplorazione e sfruttamento delle risorse petrolifere in Ecuador, nell’area del Lago Agrio, ha inquinato pesantemente oltre due milioni di ettari, contaminando gravemente la foresta amazzonica. Già nel 1993, 30 mila tra abitanti e agricoltori hanno denunciato l’accaduto. Un tribunale dell’Ecuador ha riconosciuto la colpevolezza di Texaco, multandola per 18 miliardi di dollari, ma dopo varie fasi del processo, l’azienda petrolifera si è appellata alla Corte Internazionale dell’Aja. Il reato rimane al momento impunito.
Mar Ligure: il disastro della petroliera Haven
La superpetroliera Haven affondò nel Mar Ligure il 14 aprile 1991, dopo un’agonia di quattro giorni. L’affondamento provocò la morte di 5 uomini dell’equipaggio e lo sversamento sui fondali marini di 134 mila tonnellate di petrolio. L’eredità dell’accaduto continua oggi e proseguirà per i prossimi 10 anni, con effetti negativi sull’ecosistema marino. La petroliera aveva mostrato segni di malfunzionamento già durante il viaggio verso l’Italia. Il risarcimento economico ottenuto è stato giudicato irrisorio rispetto ad altri casi analoghi.
Bielorussia: l’incidente nucleare di Chernobyl
Chernobyl costituisce l’incidente nucleare più grave della storia. Il disastro avvenne il 26 aprile 1986, presso la centrale nucleare V.I. Lenin. Le cause furono indicate in gravi mancanze da parte del personale, sia tecnico che dirigente, in problemi relativi alla struttura e alla progettazione dell’impianto stesso e nell’errata gestione economica e amministrativa della centrale. Il personale si rese responsabile della violazione di svariate norme di sicurezza e di buon senso, portando a un brusco e incontrollato aumento della potenza e della temperatura del nocciolo del reattore n°4 della centrale. Si formò una nube di vapore radioattivo che si disperse nell’aria e ricadde su vaste aree intorno alla centrale, contaminandole pesantemente e rendendo necessaria l’evacuazione circa 336 mila persone. Non esistono ancora oggi dati ufficiali e definitivi sui decessi ricollegabili alla tragedia. Non venne accertata alcuna responsabilità penale. Il disastro rimane impunito.
Argentina: la montagna di piombo di Abra Pampa
Nella cittadina di Abra Pampa, nel nord dell’Argentina, si trova una montagna formata da 30 mila tonnellate di piombo, proveniente dalle lavorazioni di un impianto chiuso negli anni ’80. L’81% della popolazione infantile è esposta ai danni derivanti dal piombo, soprattutto a causa dell’inalazione di polvere del minerale. L’esposizione alla contaminazione riguarda anche gli adulti. I danni cerebrali nei più piccoli non sono trattabili e includono ritardo mentale, diminuzione del quoziente intellettivo, carenza di attenzione, dislessia.
India: la nube di pesticidi tossici di Bhopal
Il 3 dicembre 1984, nello stablimento della Union Carbide India Limited, situato nella località di Bophal e specializzato nella produzione di pesticidi, si sprigionò una nube tossica di isocianato di metile, La nube uccise in breve tempo oltre 2000 persone e ne avvelenò decine di migliaia. Nel giugno 2010 un tribunale di Bhopal ha emesso una sentenza di colpevolezza per omicidio colposo per grave negligenza nei confronti di otto ex-dirigenti indiani della UCIL. Le condanne e le multe stabilite sono state giudicate irrisorie.
Marta Albè
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