Ripulire gli sversamenti di petrolio in mare grazie alla soia, che verrà utilizzata per ottenere un solvente ecologico. La novità arriva dall’American Chemical Society, impegnata nella ricerca di nuove soluzioni agli sversamenti di petrolio.
Ripulire gli sversamenti di petrolio in mare grazie alla soia, che verrà utilizzata per ottenere un solvente ecologico. La novità arriva dall’American Chemical Society, impegnata nella ricerca di nuove soluzioni agli sversamenti di petrolio.
In particolare, si mira ad individuare un sostituto ecologico delle sostanze chimiche utilizzate di solito per il riassorbimento del petrolio in mari e oceani. Queste sostanze possono avere a propria volta un impatto ambientale negativo, dunque urge un’alternativa green. Sarà la soia ad aiutarci?
Tutti noi conosciamo la lecitina di soia come ingrediente e come integratore alimentare, ma forse non siamo al corrente dei suoi utilizzi dal punto di vista ambientale. I ricercatori sono partiti proprio dalla scomposizione della lecitina di soia per ottenere delle molecole in grado di suddividere il greggio in particelle più piccole e dunque più semplici da rimuovere dall’acqua.
I ricercatori nei propri studi hanno confrontato l’utilizzo del solvente alla lecitina di soia con quello di due solventi comunemente impiegati in caso di sversamenti di petrolio. Questi solventi purtroppo rilasciano sostanze tossiche nell’ambiente, ma ciò non avviene con il prodotto ottenuto dalla lecitina di soia.
La buona notizia è che con il solvente ecologico alla soia i ricercatori hanno ottenuto risultati migliori rispetto ai solventi attualmente in uso per ripulire le maree nere. L’agente a base di soia è in grado di accelerare l’assorbimento del petrolio e la bonifica delle acque interessati da sversamenti di petrolio.
I test condotti in laboratorio hanno dimostrato il buon funzionamento del disperdente a base di lecitina di soia. Ora restiamo in attesa di ulteriori conferme dell’efficacia di questa novità per quanto riguarda le aree da bonificare già esistenti, sempre nella speranza di non dover mai più affrontare gravi maree nere come quella che nel 2010 ha interessato il Golfo del Messico. La ricerca ha ricevuto supporto economico dal progetto Gulf Research Initiative.
Marta Albè
Fonte foto: foodnewsinternational.com
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