Un quinto della produzione brasiliana per il mercato europeo viene dall’abbattimento fuori controllo e illegale di alberi di Amazzonia e Cerrado
La nostra soia è avvelenata dalla deforestazione: un quinto della produzione brasiliana per il mercato europeo viene dall’abbattimento fuori controllo e illegale di alberi di Amazzonia e Cerrado. La denuncia in un lavoro condotto dalle brasiliane Universidade Federal de Minas Gerais e Escola Superior de Conservação Ambiental e Sustentabilidade in collaborazione con istituti di ricerca europei.
Il lavoro ha preso in esame le deforestazioni che hanno portato alla messa in opera di piantagioni di soia dal 2008 al 2018 e dimostra come almeno il 20% delle esportazioni del Paese siano potenzialmente legate alla deforestazione fuori legge e, per la prima volta, si identificano come colpevoli i produttori.
Gli scienziati e le proprietà rurali sono riusciti a quantificare le quote illegali monitorando la catena di approvvigionamento e discriminando tra deforestazione legale e illegale.
Secondo lo studio, un quinto delle 53.000 proprietà che producono soia in Amazzonia e nel Cerrado sono coltivate su terreni disboscati dopo il 2008 ignorando le regole ma anche che le azioni precedenti sono state già condonate, portando ad un’agghiacciante stima: la metà della recente produzione di soia è da azioni illegali che stanno distruggendo l’ambiente.
Circa 2 milioni di tonnellate di soia contaminata, quindi, potrebbero essere finite sulle tavole europee nel periodo oggetto dello studio: l’Ue infatti acquista il 41% (13,6 milioni di tonnellate) di tutta la soia che importa dal Brasile e quasi il 70% di quel volume proviene dalle regioni dell’Amazzonia e del Cerrado.
Gli scienziati ricordano che l’Unione Europea e il Mercosur (il mercato comunque dell’America Latina) stanno conducendo negoziati per la ratifica di un accordo commerciale e sottolineano come il blocco delle importazioni in Europa di materie prime da aree disboscate illegalmente è la via da perseguire.
E non solo soia. L’UE importa dal Brasile quasi 190 mila tonnellate di carne bovina all’anno e i ricercatori hanno scoperto come circa il 60% delle teste macellate sia potenzialmente contaminato dalla deforestazione. Infatti – avvertono – il governo non monitora i fornitori indiretti di bestiame.
Un lavoro immane, condotto grazie alla collaborazione internazionale e all’utilizzo dei dati sul consumo di suolo e di immagini satellitari sottoposte a modellizzazione ad hoc per il lavoro.
“Le mandrie si spostano molto dalla nascita al macello e siamo stati in grado di determinare lo spostamento da una fattoria all’altra”
spiega Raoni Rajão, primo autore della ricerca, che riferisce anche come lo studio abbia tracciato la traiettoria internazionale della vendita di merci, grazie alla piattaforma Trase sviluppata dall’Istituto ambientale di Stoccolma.
Le foreste del Brasile sono “al punto di rottura” scrivono a chiare lettere gli scienziati, che si uniscono a cori unanimi di allarme, minacciate da una politica che incoraggia la loro distruzione principalmente per l’accaparramento delle terre.
Cosa può fare l’Europa?
“È essenziale che l’Europa utilizzi il suo potere commerciale e di acquisto per contribuire a invertire lo smantellamento della tutela ambientale in Brasile – tuona Rajão – Bruxelles ha finalmente le informazioni necessarie sull’entità del problema legato alla soia e alla carne bovina”.
Il nostro continente, dunque, non ha più scuse.
Il lavoro, pubblicato su Science, ha un titolo eloquente: ‘Le mele marce dell’agroalimentare brasiliano’.
Fonti di riferimento: Universidade Federal de Minas Gerais / Science
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