La produzione di e-waste sta generando montagne di rifiuti tossici in Africa: riciclare nel modo corretto è doveroso
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In ogni smartphone c’è un tesoro nascosto di materiali preziosi che dovremmo recuperare. E invece finisce in Africa, la pattumiera della nostra tecnologia
Ci sono dei veri e propri tesori nascosti in molti degli elettrodomestici e device che abbiamo in casa. Si calcola che in media, in ogni abitazione, ci siano circa 6 tra vecchi cellulari e smartphone non utilizzati. Sono tutti prodotti che al loro interno hanno piccole ma importanti quantità di materiali costosi che possono essere nocivi per l’ambiente, se non correttamente smaltiti.
Smartphone, non li stiamo differenziando abbastanza
È la trasmissione tv Mi manda Rai Tre nella puntata di domenica 16 gennaio, a snocciolare dati interessanti con il supporto degli esperti di Tecnologie e Valorizzazione rifiuti Enea: si calcola che ogni anno si gettano 35 milioni di cellulari dai quali si potrebbero recuperare 195 milioni di euro in materiali rari. Basta pensare che in uno smartphone è possibile trovare 250mg di argento ma anche 9mg di oro o 9md di palladio un materiale che sul mercato si attesta sui 55€ al grammo.
Il corretto smaltimento di telefoni o di altri elettrodomestici presso le isole ecologiche o strutture che prevedono questo ciclo di operazioni permetterebbe quindi una raccolta di materiali di notevole valore e anche di salvaguardare l’ambiente. Ma ad oggi, secondo i dati forniti dagli esperti di Enea, la raccolta differenziata in questo comparto si attesta al 45% del suo potenziale. Eppure materiali come il palladio sono tra quelli definiti critici dalla Commissione Europea per difficoltà di approvvigionamento e per valore industriale come sottolineato in un documento del settembre 2020 Resilienza delle materie critiche: tracciare un percorso verso una maggiore sicurezza e sostenibilità.
Africa, la discarica della nostra spazzatura tecnologica
Quello che però è possibile tracciare è il viaggio che fanno gran parte della cosiddetta e-waste, ovvero dei rifiuti come televisori, telefoni, tablet e altro che arriva in Africa. Più precisamente in Ghana che ha nella capitale Accra sia uno fiorente centro di recupero di oggetti elettronici di seconda mano che la più grande discarica a cielo aperto di spazzatura di tipo tecnologico.
Ed è qui che finisce tutto ciò che giunge al porto cittadino non più funzionante e si ammassa nella gigantesca discarica cittadina di Agbogbloshie dove i più poveri, per pochi soldi, si occupano di estrarre e recuperare rame, alluminio e altri materiali ancora che possono tornare a essere utilizzati nei processi industriali. Questo si traduce in molte ore passate a smantellare oggetti di ogni tipo mentre si respirano le costanti esalazioni dei fuochi che bruciano i rifiuti con conseguenze pesantissime sulla salute delle persone e delle acqua che costeggiano l’area, dove sorgono diverse abitazioni.
Uno degli studi più approfonditi di questo settore risale al 2015, il report Countering WEEE Illegal Trade finanziato tra gli altri anche dall’Unione Europea che aveva già dimostrato la cattiva gestione di questo settore: circa 1,3 milioni di tonnellate di elettronica scartata erano state esportate in modo improprio.
Un articolo pubblicato da Environmental Health Perspectives, invece, aveva mostrato che ogni mese 100.000 personal computer usati arrivano nel solo porto nigeriano di Lagos. Si stima che circa 500 container carichi di apparecchiature elettroniche di seconda mano passino attraverso Lagos ogni mese, secondo l’indagine. Ogni container può essere imballato, in media, con un carico di volume pari a 800 monitor di computer o unità centrali di elaborazione (CPU), oppure 350 grandi televisori. Gli esperti stimano che tra il 25% e il 75% di questo materiale sia inutile. Si è ipotizzato, quindi, che i volumi di rifiuti elettronici siano pari a 100.000 computer o CPU, o 44.000 televisori, che entrano in Africa ogni mese attraverso la sola Lagos.
Le attività di combustione e smantellamento dei rifiuti elettronici sono spesso intraprese nei siti di rifiuti elettronici, spesso dentro o vicino alle case. Di conseguenza, i bambini e le persone che vivono nelle aree circostanti sono esposti alle sostanze tossiche derivanti da questa attività, anche se non sono direttamente coinvolti nel riciclaggio. I bambini sono più vulnerabili poiché stanno attraversando importanti processi di sviluppo e l’impatto negativo sulla loro salute è a lungo termine, come rivela un altro studio recentissimo pubblicato sull’International Journal of Environmental Research and Public Health .
Il rapporto mostra che i rifiuti elettronici contengono oltre 1.000 sostanze nocive, direttamente come componenti o rilasciate attraverso i sistemi di trattamento durante il riciclaggio informale.
“La discarica di Agbogbloshie in Ghana è una delle più grandi al mondo e molte delle 250.000 tonnellate di rifiuti elettronici che finiscono lì vengono bruciate per ottenere metalli. Ciò porta alla contaminazione dell’aria, del suolo, della polvere, dell’acqua e dell’esposizione umana a un’ampia varietà di sostanze tossiche”, spiegano i ricercatori.
Per approfondire, consigliamo di leggere anche lo studio The decarbonisation divide: Contextualizing landscapes of low-carbon exploitation and toxicity in Africa
Cosa possiamo fare?
Cosa fare? Nel nostro piccolo possiamo provare a riparare un oggetto prima di disfarcene oppure darlo a chi magari ne può avere bisogno. Sicuramente portare vecchi telefoni, tv, elettrodomestici e pile nelle isole ecologiche è un’altra buona abitudine, magari anche portando gli oggetti facilmente trasportabili di chi non ha modo di andare e portare da solo.
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Fonti: Mi manda RaiTre; Commissione Europea; United Nation University
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