L'Aquila: dopo 10 anni, abbiamo raggiunto davvero una consapevolezza? Come stanno messi al 2019 questi territori?
Terremoto de L’Aquila anno 10. Aggiungiamo la seconda cifra a quella furia che 10 anni fa uccise 309 persone, un po’ come si fa coi bimbi, quando diventano grandi e raggiungere i 10 è la porta verso l’adolescenza. Ma noi, dopo 10 anni, abbiamo raggiunto davvero una consapevolezza? Come stanno messi al 2019 questi territori?
A colpire L’Aquila e molti altri piccoli paesi abruzzesi alle 3,32 del 6 aprile del 2009 fu un terremoto di 6,2 gradi di magnitudo (Mw), pari a 5,8 gradi della scala Richter. È la prima volta che un sisma devasta in pieno un capoluogo di regione e un intero centro storico, ma non risparmia nemmeno le aree vicine: alcuni paesi come Onna vengono praticamente rasi al suolo.
Nei giorni successivi si conteranno più di 300 vittime e circa 1600 feriti, mentre gli sfollati saranno circa 80mila.
Terremoti sempre ce ne sono stati e, ahinoi, sempre ce ne saranno. In Italia, dall’anno mille fino a oggi si sono verificati 98 terremoti di grado superiore al nono grado della scala Mercalli ogni 8 anni.
Solo nel ‘900, dal terremoto di Messina-Reggio Calabria del 1908, che con 95mila morti fu la più grave catastrofe naturale in Europa a memoria d’uomo, passando per Avezzano, il Belice e il Friuli, l’Irpinia del 1980 e infine L’Aquila del 2009 e il Centro Italia del 2016, tutti sono connotati da terribili momenti e macerie infinite.
Gli unici strumenti di cui disponiamo sono la prevenzione (consideriamo che il più delle volte si tratta di territori già colpiti da scie sismiche e che L’Aquila, per dirne una, aveva già avuto 5 terremoti importanti), la messa a punto di metodi di costruzione antisismici e l’addestramento all’emergenza: con questi mezzi potremmo limitare i danni e, soprattutto, evitare numeri incredibili di vittime. Ma davvero ne siamo coscienti?
L’Aquila 2009/2019
Quel sisma terribile, il terremoto vero e proprio, fu in realtà preceduto da 6 mesi di scosse di bassa intensità. Campanelli d’allarme? Certo, ma la “botta forte” – come la chiameranno gli aquiliani – è poi arrivata, in piena notte, e s’è portata via tutto.
Inverosimilmente, anche l’ospedale costruito 9 anni prima crolla (i pazienti vennero evacuati) e si scoprirà poi che mancava il certificato di agibilità e che il cemento era scadente. E diventa un simbolo il crollo della casa dello studente, che causa la morte di 8 ragazzi.
Ma intanto il centro storico rimane così e diventa “zona rossa”. I lavori di ricostruzione non partono. L’angoscia monta e gli aquilani per protesta attaccano le chiavi delle case terremotate alle transenne dei tristemente famosi “4 cantoni dell’Aquila” e danno il via al “movimento delle carriole”. Una città intera si ribella al fatto che i lavori non partivano.
Oggi L’Aquila è ancora un cantiere e solo circa la metà degli edifici sono stati ricostruiti. Ma 64 centri abitati sono ancora da riedificare, oltre 700 edifici vincolati dal ministero dei Beni Culturali e altri più di 200 nei comuni del cratere.
E ad oggi devono rientrare nelle loro case ancora quasi 3mila famiglie, quasi una persona su due.
Dopo il sisma de L’Aquila, si contano ancora il disastro dell’Emilia del 2012 e la sequenza di Amatrice del 2016. Molto è stato fatto dalla catastrofe di Messina-Reggio, ma ancora c’è molto da mettere in pratica dal punto di vista delle ricostruzioni, a partire dal controllo delle infiltrazioni mafiose fino ad arrivare al controllo delle norme antisismiche.
Di molte cose siamo venuti a conoscenza e abbiamo capito (a parole) di dover puntare sulla prevenzione. Ma pare che non sia questa la direzione che stiamo prendendo.
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Germana Carillo
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